INTERVISTA
Intervista a Melchiorre Candino
Redazione On Medicine
I dati del 2021 sull’epidemia di HIV e AIDS hanno stimato che nel mondo i soggetti che vivevano con con l’infezione HIV era pari a 38,4 milioni (fonte UNAIDS). L’infettivologo rappresenta lo specialista di riferimento nella gestione dei soggetti HIV positivi, affiancato da una équipe di specialisti che lo coadiuvano nella gestione del paziente. In questo ambito, l’oftalmologo riveste sicuramente ancora un ruolo di primo piano, dal momento che le complicanze oculari associate alla malattia possono non solo essere un indice di gravemente diminuita acutezza visiva, ma anche di prognosi infausta ai fini della sopravvivenza. L’avvento dei farmaci antiretrovirali ha radicalmente cambiato la vita di questi pazienti, che da pazienti gravi sono nella maggior parte dei casi diventati dei malati cronici. Continuano però a essere seguiti attentamente nel follow-up, come ci racconta il dottor Melchiorre Candino, oftalmologo che annovera tra le proprie competenze anche la gestione dei pazienti HIV positivi.
Dottor Candino, quali sono le complicanze oculari correlate all’infezione da HIV?
Prima di tutto è necessario ricordare che l’infezione da HIV non causa una malattia ma una sindrome, caratterizzata da una immunodeficienza acquisita, che fa sì che agenti patogeni quali virus, batteri, funghi determinino nell’organismo delle lesioni non usualmente riscontrabili nei soggetti immunocompetenti. Molto frequentemente sono presenti una sindrome da occhio secco e la microangiopatia retinica HIV-associata. Altre patologie oculari che hanno un decorso clinico differente dai pazienti immunocompetenti, e che possono compromettere gravemente le capacità visive rispetto a questi soggetti, sono le retiniti da Citomegalovirus, da Toxoplasma gondii, da Pneumocystis carinii, da Candida, da Treponema pallidum, da virus Varicella-zoster, da Herpes simplex e l’occlusione della vena centrale retinica. Nei pazienti HIV positivi si possono manifestare anche lesioni cutanee da mollusco contagioso nella zona palpebrale, oppure lesioni cutanee palpebrali o congiuntivali da sarcoma di Kaposi.
Qual è il ruolo dell’oftalmologo nella gestione di questi pazienti?
In passato il nostro ruolo era spesso dirimente per quanto riguardava la prognosi relativa alla sopravvivenza, in quanto in base al tipo di lesioni e all’agente patogeno che riuscivamo a identificare, sia oftalmoscopicamente sia con l’analisi dell’umor acqueo tramite PCR (Polymerase Chain Reaction), allertavamo l’infettivologo che poteva così instaurare la terapia sistemica più adeguata, talvolta associata a una terapia fondata spesso su ripetute iniezioni intraoculari di farmaci anti virali somministrata dall'oftalmologo.
L’evoluzione delle risorse terapeutiche nei confronti del virus dell’HIV ha modificato il vostro ruolo?
Attualmente, grazie in particolare alla diagnosi precoce della sieropositività e all’utilizzo dei farmaci antiretrovirali, si assiste sempre più raramente all’evoluzione dell’infezione in malattia conclamata (AIDS). All’oculista resta comunque l’importante compito di tenere sotto controllo la salute oculare del paziente, esaminando in modo particolare il fondo dell’occhio per verificare l’integrità della retina e del nervo ottico, che rappresentano zone anatomiche oculari cruciali suscettibili alle infezioni opportunistiche e, di conseguenza, più coinvolte nel peggioramento o addirittura nella perdita dell’acutezza visiva.
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