On Medicine

Anno IX, Numero 9 - ottobre 2015

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FOCUS

Fisiologia di apprendimento e memoria

Mariano Pedetti - SerT MVT, AUSL2 dell‘Umbria, Marsciano (PG)

Introduzione
L‘apprendimento è la capacità del cer­vello di imparare dall‘esperienza, cioè di registrare nella memoria, o meglio nelle memorie, tutto ciò che può essere utile in futuro per le successive interazioni dell‘in­dividuo con l‘ambiente. No­nostante esistano periodi critici per particolari forme di apprendimento (per esempio, la finestra linguistica) questo dura per tutta la vita, grazie alla capacità del cervello di riaggiornare continuamen­te i suoi repertori mnesici (neuroplasticità).


Tipologia delle memorie



La memoria non è un fenomeno unitario; al contrario, le memorie sono molteplici e codificate, e conservate in reti neurali ampiamente distribuite in varie regioni del cervello (Fig. 1).
La distinzione fonda­mentale della memoria umana è fra quella dichiarativa, o esplicita, tipica degli esseri umani in quanto necessita del linguaggio simbolico, e quella non dichiarativa , o im­plicita, presente a vari livelli di complessità in tutte le forme viventi (Fig. 2).(1)
Il sistema mnesico del lobo temporale (for­mato dalla corteccia paraippocampale e dall‘ippocampo) si occupa della codifica delle memorie dichiarative o esplicite (così definite perché possono essere recupera­te consciamente dalla memoria di lavoro), suddivise in episodiche (eventi di cui ab­biamo fatto esperienza in prima persona) e fattuali (o semantiche). L‘ippocampo gene­ra anche le memorie spaziali o di contesto, probabilmente all‘interno di una più gene­rale funzione di formazione delle memorie relazionali. I ricordi dichiarativi rimango­no immagazzinati nell‘ippocampo solo a breve-medio termine. In un arco tempo­rale variabile fra uno-due anni, le memorie sono trasferite e distribuite in varie regioni corticali (memoria a lungo termine), quelle dove sono state codificate le rappresenta­zioni. I ricordi visivi nella corteccia visiva, gli uditivi in quella uditiva ecc.(1)

La memoria di lavoro, o memoria ope­rativa o memory working, può essere defi­nita un database temporaneo (memoria a brevissimo termine) per la conservazione delle informazioni per il tempo necessa­rio a completare un‘azione. Lo span è la capacità della memoria di lavoro, cioè il numero di elementi che può utilizzare a un dato istante, in genere sette. La memoria di lavoro, distribuita in subregioni della CPF, soprattutto nella CPF dorsolaterale, è il trait d‘union fra la dimensione percettiva e quella cognitiva cosciente del cervello. Subsistemi separati di memory working inviano, dalle aree corticali sensoriali (visiva, uditiva ecc.), informazioni alla CPF dorsola­terale, che le integra in modalità multimo­dale.(2) La dopamina modula le funzioni della memoria di lavoro influenzando l‘attenzio­ne selettiva: la stimolazione dei recettori corticali del sottotipo D1-like (D1-D5), postsinaptici, ad alta affinità di legame, si traduce in una facilitazione dei pattern di scarica dei neuroni che devono lavorare, riconosciuti in base al loro stato elettrico, mentre quelli non utili al momento vengo­no inibiti dalla stimolazione dei recettori presinaptici a bassa affinità, del sottotipo D2-like (D2-D3-D4).(3) In sintesi, la dopamina "dosa" il numero d‘impulsi generati nelle aree prefrontali della memory working e provocati dalle informazioni provenienti dalle regioni sensoriali. Quando il compito è stato svolto, output inibitori dai neuroni dei sistemi motori, sia corticali sia subcor­ticali, inibiscono le cellule dopaminergiche della VTA. Avete mai studiato in un am­biente rumoroso, per esempio in treno? Certamente sì. Ebbene, ci siete riusciti gra­zie a questa capacità del cervello!
È poi interessante notare che la memoria di lavoro, in quanto collo di bottiglia da cui passa tutta la comunicazione simbolica in­terpersonale, è anche il ricevitore corticale della terapia psicologica verbale. I sistemi mnesici impliciti sono svincolati dal lobo temporale; infatti, funzionano anche in caso di lesione di questo. Tuttavia, forni­scono anch‘essi informazioni alla memoria di lavoro, per esempio circa gli stati del cor­po tramite l‘insula, o le reazioni apprese di paura codificate dall‘amigdala, e ricevono connessioni dalla CPF.(4) Il priming è un tipo particolare di apprendimento implicito, che ha preso il nome da un test usato negli amnesici ippocampali. Se a uno di questi soggetti si fa vedere una lista di tre paro­le, per esempio pane, finestra e crotalo, e il giorno successivo si chiede loro di ripetere la lista, non solo non ricordano le parole, ma nemmeno di aver visto la lista (amne­sia anterograda). Tuttavia, se si sillaba cro-, loro associano la parola crotalo e non cro­sta o crollo. (3)

Le tipologie di memorie implicite per noi più interessanti sono quelle for­mate tramite apprendimento incentivo. Alla base dell‘apprendimento incentivo vi sono il paradigma dell‘apprendimento classico, o pavloviano, e quello del compor­tamento operante, o strumentale, o skin­neriano.(2) Nel primo, un animale può essere addestrato (condizionato) a esprimere una risposta automatica al presentarsi di uno stimolo neutro, come una luce o un suo­no, dopo un certo numero di associazioni con uno stimolo incondizionato appetibi­le o aversivo (per esempio, cibo o scossa elettrica) che segue di un breve intervallo temporale la presentazione dello stimolo neutro. Nel caso del cane di Pavlov, lo sti­molo incondizionato era un cibo appetibi­le, la risposta incondizionata la salivazione; dopo un certo numero di presentazioni di un suono in stretta associazione tempora­le con il cibo, il cane salivava alla presenta­zione del suono senza cibo (stimolo condi­zionato). Non sono create nuove risposte, l‘apprendimento consiste nell‘associare una risposta innata a circostanze nuove. Dopo un certo numero di presentazioni dello stimolo condizionato (suono) senza stimolo incondizionato (cibo), la risposta condizionata si indebolisce, fino ad estin­guersi del tutto (estinzione del condizio­namento). L‘estinzione, però, non cancella l‘associazione suono-cibo dalla memoria, l‘estinzione è in realtà un nuovo appren­dimento che inibisce il precedente. Infatti, a distanza di tempo dall‘estinzione al ri­presentarsi dello stimolo condizionato la risposta condizionata può ricomparire (fe­nomeno chiamato recupero spontaneo), mentre la generalizzazione è l‘attivazione della risposta in seguito all‘esposizione a stimoli simili a quello condizionato.


Nel paradigma del comportamento ope­rante o strumentale, o skinneriano, un animale è addestrato a compiere un lavo­ro o ad attuare un comportamento, anche complesso, nuovo, non compreso nel suo repertorio innato, alla presenza di stimoli discriminativi associati a una ricompen­sa (rinforzo positivo) o a una punizione (rinforzo negativo). Con l‘instaurarsi del condizionamento gli stimoli discriminativi diventano stimoli condizionati (o rinforzi condizionati), capaci di innescare il com­portamento in assenza dei rinforzi incon­dizionati (ricompensa o punizione). Anche nel paradigma operante si verificano i feno­meni dell‘estinzione del condizionamento, del recupero spontaneo e della generaliz­zazione.(2)
Il PIT, Pavlovian Instrumental Transfer, è un fenomeno molto importante per l‘ap­prendimento implicito e consiste in un trasferimento di segnale, nel senso che facendo precedere o seguire un appren­dimento pavloviano a uno operante, dopo un certo numero di associazioni, lo stimolo condizionato (CS) pavloviano è in grado di avviare e intensificare il comportamento strumentale.(5) Gran parte dell‘apprendi­mento è di tipo incentivato, anche quello più elevato, come l‘interiorizzazione delle norme etiche, e implicito. La base neurale è il sistema mnesico centrato sull‘amigdala e altre strutture limbiche funzionalmente correlate fra loro e deputate a elabora­zioni emotivo-istintuali. L‘apprendimento incentivo consente l‘associazione e la me­morizzazione di sensazioni piacevoli (ricer­cate attivamente) e spiacevoli (evitate atti­vamente) con eventi, fatti, luoghi, contesti ambientali. Funziona tanto meglio quanto più le sensazioni sono vivide e intense, emotivamente salienti e importanti per la sopravvivenza (Figg. 3 e 4).
Determina la codifica di schemi comportamentali che il cervello ritiene dover ripetere con mas­sima efficienza, in quanto pro-fitness (per fitness si intendono le attività a maggior vantaggio evolutivo, cioè quelle con la massima probabilità di conservare e tra­smettere il patrimonio genetico specie-specifico).(6)
Il cervello matura le diverse funzioni mnesiche in tempi successivi: lo sviluppo on­togenetico ripercorre le tappe di quello fi­logenetico, per cui i sistemi mnesici impli­citi, subcorticali, maturano prima di quelli espliciti, corticali.
Tutti impariamo un sacco di cose incon­sapevolmente, prima di aver imparato a leggere e a scrivere e di essere capaci di formare memorie dichiarative.(1) Un esempio è la strutturazione del repertorio affettivo-emotivo in relazione alle cure parentali ri­cevute nei primi due-tre anni di vita, di cui non abbiamo ricordo. L‘apprendimento implicito continua per tutta la vita. Sappia­mo qualcosa sui meccanismi biologici alla base di tutto ciò? Come al solito molto, e ancora troppo poco.


Plasticità hebbiana, PLT e DLT


La maggior parte dei neuroscienziati ritie­ne che modificazioni nella connettività si­naptica siano alla base dell‘apprendimen­to, e che la memoria sia il consolidamento e la conservazione di questi cambiamenti nel tempo.
Quali sono questi cambiamenti?

Un primo passo fu fatto da Donald Hebb, con la sua teoria sinaptica della memoria o della connessione tramite scarica: se due neuroni sono attivi nello stesso istante, e uno è in posizione presinaptica rispetto all‘altro, allora la connessione fra loro ne sarà potenziata. In altri termini, cellule che scaricano in simultanea si connettono re­ciprocamente. Immaginiamo di avere tre neuroni A, B, C: A è in posizione postsinap­tica rispetto a B e C, e la connessione fra A e C è forte, mentre quella fra A e B è debole. Quando C scarica, anche in A si forma un potenziale d‘azione, mentre è meno pro­babile che si verifichi quando scarica B. B e C sono impegnati nell‘elaborazione di sti­moli diversi: a un dato momento scaricano insieme, e A si attiva. Secondo il principio di Hebb, la connessione A-B è stata raffor­zata dalla scarica sincrona di A-B-C. L‘inten­sità del rafforzamento correla direttamen­te con la frequenza delle scariche sincrone, fino a che C sarà in grado di attivare A sen­za l‘intervento di B. (2)
Quasi 25 anni dopo, l‘ipotesi di Hebb fu di­mostrata sperimentalmente in uno studio sull‘ippocampo del ratto.

I ricercatori impiantarono un elettrodo di registrazione nell‘ippocampo e uno nella via nervosa che raggiungeva l‘ippocampo, misurarono l‘attività elettrica dopo uno sti­molo unico, poi dopo una breve scarica ad alta frequenza, e continuarono a farlo per ore. La scoperta, che prese il nome di po­tenziamento a lungo termine (PLT), fu che dopo gli stimoli di potenziamento la rispo­sta sinaptica aumentava e si manteneva nel tempo.(2)
Da allora sono stati pubblicati migliaia di studi sul PLT e il suo opposto, la DLT (de­pressione a lungo termine). I risultati, ai nostri fini, possono essere schematica­mente sintetizzati così: il PLT è specifico per le sinapsi coinvolte dal potenziamento e non per il neurone nel suo complesso (cioè si forma solo nelle sinapsi stimolate e non in tutte le sinapsi del neurone) ed è as­sociativo, si verifica in tutte le sinapsi attive al momento del potenziamento.


La sinapsi glutammatergica


La risposta alla domanda riguardo a come il cervello realizza la plasticità hebbiana ha impegnato i neuroscienziati per molti anni, e ha rappresentato la linea di partenza per gli studi su apprendimento e memoria. A metà degli anni Ottanta furono fatte due scoperte fondamentali, che hanno rappre­sentato uno starter per gli studi successivi:
• il blocco del recettore NMDA del glutam­mato impedisce il PLT senza interferire con la normale trasmissione sinaptica;
• il blocco dell‘ingresso di calcio nella cel­lula postsinaptica durante il potenziale di azione impedisce il PLT.
Gli studi successivi hanno definito il fun­zionamento della sinapsi glutammatergi­ca, illustrato dalla Figura 5.



Il glutamma­to ha parecchi recettori (Box 1), tuttavia, per la nostra discussione, sono essenziali i recettori AMPA, responsabili della tra­smissione sinaptica ordinaria, e i recettori NMDA, coinvolti nella plasticità sinaptica. La Figura 5A rappresenta nella parte supe­riore una connessione forte e in quella in­feriore una connessione debole allo stesso neurone postsinaptico. Il glutammato rila­sciato nello spazio presinaptico raggiun­ge sia i recettori AMPA sia quelli NMDA: inizialmente sul recettore NMDA non ha effetto, in quanto questo è bloccato dal Mg, mentre il legame con quello AMPA in­duce un potenziale di azione nella cellula postsinaptica (connessione forte). Ora, se le due connessioni presinaptiche scarica­no insieme, il potenziale d‘azione indotto da quella forte rimuove il Mg dal recettore NMDA, a cui segue l‘ingresso di calcio at­traverso il canale NMDA, inducendo un PLT precoce. A ciò si associa l‘avvio di modifi­cazioni intracellulari che contribuiscono al potenziamento sinaptico, utilizzando le proteine già presenti nel citosol (memoria a breve o brevissimo termine). I recettori NMDA funzionano da rilevatori di coin­cidenza, permettendo al neurone post­sinaptico di registrare esattamente quali input presinaptici fossero attivi durante il suo potenziale d‘azione.


Ora, bisogna capire in che modo le mo­dificazioni sinaptiche indotte dall‘attività NMDA si consolidino in modo da genera­re PLT tardivi e, tramite fenomeni stabili di plasticità neurale, le memorie a medio e lungo termine. Il primum movens è l‘in­gresso di ioni calcio nella cellula, dove si comportano da secondo messaggero, con­trollando e indirizzando reazioni chimiche che potenziano le connessioni sinaptiche sia a breve sia a lungo termine. L‘ingresso di calcio attiva diverse chinasi a casca­ta: la proteinchinasi A cAMP-dipendente (PKA), la proteinchinasi calcio/calmodulina (CaMK), la proteinchinasi attivata da mi­togeno (MAPK). Tutte le chinasi suddette convergono, a loro volta, nell‘attivazione del fattore di trascrizione genica CREB (elemento di risposta al cAMP o regione di legame proteico), che agisce sui segmenti promoter dei geni, attivandone l‘espressio­ne e, quindi, la sintesi proteica. Le proteine sintetizzate sono trasportate lungo la cel­lula, ma solo le sinapsi marcate durante il PLT mediante messaggeri retrogradi rila­sciati dal neurone postsinaptico potranno utilizzarle, e quindi potenziarsi. Le proteine servono per costruire nuovi recettori, nuo­vi canali ionici, ma non solo: si ha anche la formazione di nuove sinapsi.
Alcune delle proteine rilasciate antidro­micamente sono neurotrofine, che sono catturate dai terminali sinaptici attivi in quel momento e sollecitano la cellula pre­sinaptica a produrre nuove connessioni sinaptiche con i neuroni postsinaptici. Il DLT è il fenomeno opposto del PLT: si ve­rifica quando una via presinaptica scarica ripetutamente non in coincidenza con il neurone postsinaptico.


In questo caso, lo scarso afflusso di calcio induce l‘attivazio­ne di proteinfosfatasi che defosforilano i recettori AMPA e, in questo modo, depo­tenziano il collegamento sinaptico. Il calcio è il regolatore bidirezionale della plasticità.(2)
Le sinapsi si potenziano e depotenziano, nascono e muoiono in continuazione, e questa caratteristica, che come abbiamo già detto è definita nel suo complesso neuroplasticità, è la base della nostra stra­ordinaria capacità di adattamento alle mu­tevoli esigenze dell‘ambiente.
Tuttavia, a volte le memorie sono partico­larmente durature, alcune muoiono con noi. Una possibile risposta potrebbe es­sere la recente scoperta, in una lumaca di mare, di CPEB (proteina che si lega al fat­tore citoplasmatico di poliadenilazione). Ha una struttura simile ai prioni (nella for­ma autosomica dominante si autoperpe­tua), è attivata dalla serotonina e sostiene una sintesi proteica perpetua nelle sinapsi, mantenendo il rimodellamento sinapti­co alla base dell‘apprendimento a lungo termine.(1)
Dato che i meccanismi fondamentali per la vita sono mantenuti dall‘evoluzione in ma­niera simile nei vari organismi viventi, in­dipendentemente dalla loro complessità, questa scoperta ha aperto un nuovo filone della biologia, che potrebbe decifrare il mi­stero molecolare delle memorie indelebili anche nei mammiferi, uomo compreso.
È infine doveroso ri­cordare che esistono diversi tipi di PLT e DLT, oltre a quello sinteticamente descritto (il più comune e conosciuto), e che PLT e DLT non sono esclusiva dei neuroni ippo­campali, ma sono stati individuati in tutte le regioni cerebrali. In conclusione, i ricor­di sono la conservazione degli apprendi­menti; non sono fotogrammi statici, ma al contrario rappresentazioni dinamiche (il passato è presente ricordato), ogni volta diverse dalle precedenti.
Sono codificati sotto forma di pattern di scarica elettrica in circuiti distribuiti e in­terconnessi, sottoposti a continui cam­biamenti sotto le spinte di nuove espe­rienze, dei contesti in cui si verificano e dell‘arousal emotivo che le accompagna. Ogni nuovo apprendimento espande il repertorio mentale dell‘individuo e quindi, impercettibilmente ma continuamente, modifica l‘influenza reciproca fra memoria e apprendimento.


Bibliografia


1. E.R. Kandel, in "Alla ricerca della memoria", Codice, Torino, 2010.
2. J. LeDoux, in " Il Se sinaptico", Raffaello Cortina, Milano, 2001.
3. D.J. Linden, in "La mente casuale", Centro Scientifico Editore, Torino, 2009.
4. L. Clark, et al., "Differential effects of insular and ventromedial prefrontal cortex lesions on risky decision-making", Brain 2008;131(Pt 5):1311-22.
5. B.J. Everitt, T.W. Robbins, "Neural systems of reinforcement for drug addiction: from actions to habits to compulsion", Nat Neurosci 2005;8(11):1481-9.
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8. C.A. McClung, et al., "DeltaFosB: a molecular switch for long-term adaptation in the brain", Brain Res Mol Brain Res
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9. W. Schultz, "Multiple dopamine functions at different time courses", Annu Rev Neurosci 2007;30:259-88.