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Microbiologia e virologia

Identificato un nuovo bersaglio molecolare contro la Sindrome di Duncan


La sindrome di Duncan, o sindrome linfoproliferativa legata al cromosoma X, è un’immunodeficienza ereditaria caratterizzata, nella maggior parte dei casi, da una risposta immunitaria inadeguata all’infezione del virus Epstein-Barr (EBV).

L’infezione provocata da questo virus può dare origine a mononucleosi infettiva fulminante, sindrome da attivazione macrofagica, linfoistiocitosi emofagocitica, ipogammaglobulinemia progressiva e/o linfomi.
Un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dall’Università Vita-Salute San Raffaele, ha individuato un nuovo bersaglio molecolare per la lotta alla patologia, dimostrando che è possibile bloccare la malattia attraverso l’inibizione dell’attività dell’enzima Diacilglicerolo Chinasi Alpha (DGKα).

Lo studio è stato finanziato della Fondazione Telethon ed è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine. Al lavoro hanno partecipato anche l’Uniformed Services University of the Health Sciences di Bethesda e il St. Jude Children’s Research Hospital di Memphis, con il contributo dell’Università degli Studi di Siena e del National Institutes of Health.

Nella sindrome di Duncan si osserva un accumulo di linfociti attivati nei tessuti. Questo è dovuto alla mancanza di una proteina, chiamata SAP, che regola il processo di apoptosi di queste cellule del sistema immunitario controllando l’azione dell’enzima DGKα.
I ricercatori hanno ipotizzato di poter regolare l’enzima con un farmaco e hanno dimostrato di poter bloccare la reazione immunitaria tipica della malattia in modelli clinici animali.

Questo lavoro fornisce per la prima volta la prova che la DGKα può diventare uno strumento terapeutico utile a contrastare la sindrome di Duncan. L’obiettivo futuro è ora quello di sviluppare inibitori farmacologici di questo enzima.



Ruffo E et al. Inhibition of diacylglycerol kinase α restores restimulation-induced cell death and reduces immunopathology in XLP-1. Sci Transl Med. 2016 Jan 13;8(321):321ra7