NEWS

Ortopedia

Osteoporosi: nuove conferme da romosozumab


L’osteoporosi è una condizione in cui lo scheletro è soggetto a perdita di massa ossea e resistenza in seguito alla diminuzione di densità e alle modificazioni della microarchitettura delle ossa stesse, risultando così maggiormente suscettibile alle fratture patologiche. Questa condizione, una delle più diffuse a carico dell’apparato scheletrico, colpisce maggiormente le donne, soprattutto dopo la menopausa.

Secondo alcuni dati disponibili, oggi solo una donna su 5 che sperimenta una frattura da osteoporosi avvia una terapia farmacologica per il trattamento della patologia osteoporotica, nonostante sia noto che queste pazienti abbiano un rischio doppio di andare incontro a nuovo evento fratturativo.

Recentemente sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine i risultati dello studio FRAME (FRActure study in postmenopausal woMen with ostEoporosis), trial di fase III che per primo ha valutato la riduzione del rischio di frattura già a un anno. In base a questi dati, romosozumab ha ridotto in modo significativo l’incidenza di nuove fratture vertebrali in donne affette da osteoporosi in post-menopausa sia a 12 che a 24 mesi dall’inizio del trattamento.

Romosozumab (AMG 785/CDP7851) è il primo anticorpo monoclonale anti-sclerostina in grado di aumentare la formazione ossea e si assume per via sottocutanea con una sola somministrazione al mese. La sclerostina è una glicoproteina codificata dal gene SOST e secreta dagli osteociti che inibisce l’attività degli osteoblasti, cellule deputate alla produzione dell’osso. Il blocco della sclerostina determina quindi un aumento della neoformazione ossea.

Pazienti che presentano un deficit genetico di questa proteina, o una delezione del gene SOST, presentano pertanto un’elevata massa ossea, aspetto che si traduce in una maggiore resistenza alle fratture.

Ciò che è caratteristico di questo farmaco è che l’espressione del gene SOST è limitata al solo tessuto scheletrico, quindi l’inibizione della sclerostina risulta essere un target farmacologico particolarmente rilevante per limitare i potenziali effetti off-target del trattamento inibitore.

Lo studio, multicentrico, internazionale, randomizzato, controllato vs placebo, in doppio cieco, a gruppi paralleli, è parte del programma di sviluppo clinico di romosozumab insieme al trial STRUCTURE. Il disegno del FRAME ha previsto una prima fase di randomizzazione dei 7.180 pazienti (secondo uno schema 1:1) a trattamento mensile con 210 mg di romosozumab sottocute o placebo, in doppio cieco, per 12 mesi.

Dopo questa fase, controllata vs placebo, le pazienti sono entrate nella fase “in aperto”, anch’essa della durata di 12 mesi, nel corso della quale sono state trattate con 60 mg di denosumab sottocute, a cadenza semestrale, mentre permaneva la cecità al trattamento iniziale (con romosozumab o placebo).

Lo studio ha valutato due parametri: l’efficacia di romosozumab vs placebo nel ridurre il rischio di nuove fratture vertebrali a 12 mesi e l’efficacia di una terapia con romosozumab per i primi 12 mesi seguita da altri 12 mesi di trattamento con denosumab (anticorpo monoclonale interamente umano diretto contro il ligando di RANK, proteina implicata nel mantenimento della massa ossea) nel ridurre il rischio di nuove fratture vertebrali a 24 mesi.
Altri endpoint valutati a 12 e a 24 mesi sono stati: riduzione del rischio di incidenza di frattura clinica e di fratture non vertebrali (cioè quelle in siti esterni al rachide, a esclusione di quelli non considerati osteoporotici, e le fratture da trauma elevato o patologiche).

Analizzando i risultati, le donne randomizzate a romosozumab 210 mg sperimentavano una riduzione statisticamente significativa (-73%) del rischio relativo di insorgenza di nuova frattura vertebrale nel corso dei primi 12 mesi di trattamento rispetto a placebo (incidenza di frattura: 0,5% vs. 1,8%, rispettivamente; p<0,001).
Nelle pazienti trattate con romosozumab per un anno la riduzione del rischio fratturativo si è mantenuta fino a 24 mesi dopo che entrambi i gruppi erano stati sottoposti a switch terapeutico con denosumab (-75% di rischio di frattura vertebrale a 24 mesi nelle pazienti trattate inizialmente con romosozumab e poi passate a denosumab vs quelle trattate inizialmente con placebo e poi passate all’altro farmaco, incidenza di frattura pari a 0,6% vs 2,5% rispettivamente, p<0,001).

Nel corso del secondo anno dello studio sono state documentate nuove fratture vertebrali in 5 pazienti sottoposte a switch terapeutico romosozumab-denosumab e in 25 pazienti sottoposte a switch terapeutico placebo-denosumab.

Passando alle fratture cliniche, comprendenti tutte le fratture sintomatiche (sia non vertebrali sia vertebrali dolorose), le pazienti in trattamento con romosozumab hanno sperimentato, a 12 mesi, una riduzione statisticamente significativa (-36%) del rischio relativo di insorgenza di queste ultime (incidenza di frattura: 1,6% vs. 2,5%, p=0,008).

Quanto alle sole fratture non vertebrali, romosozumab ha determinato una riduzione del 25% del rischio di fratture non vertebrali rispetto al placebo nei primi 12 mesi di trattamento, anche se tale valore non ha raggiunto la significatività statistica (incidenza di frattura: 1,6% vs. 2,1%, rispettivamente, p=0,096).

A 24 mesi, invece, si è osservata una riduzione del 33% del rischio relativo di frattura clinica dopo lo switch terapeutico romosozumab-denosumab rispetto a quanto osservato nelle pazienti sottoposte a switch terapeutico placebo-denosumab (p nominale= 0,002; p aggiustato= 0,096).
Infine, per quanto riguarda la safety, la percentuale di pazienti con eventi avversi (anche seri) in entrambe le fasi dello studio è risultata complessivamente bilanciata nei gruppi di trattamento.

Sono state documentate reazioni al sito di iniezione di entità lieve nel corso dei primi 12 mesi dello studio nel 5,2% delle pazienti trattate con romosozumab e nel 2,9% delle pazienti appartenenti al gruppo placebo, mentre sono stati registrati due casi di osteonecrosi della mandibola nel gruppo trattato con romosozumab (uno pre-switch e uno post-switch terapeutico a denosumab) e un caso di frattura atipica di femore a 3 mesi dall’inizio del trattamento con romosozumab.

Secondo la dottoressa Felicia Cosman, sperimentatrice principale del trial e docente presso la Columbia University College of Physician and Surgeons di New York, i risultati dello studio FRAME dimostrano come romosozumab grazie al suo duplice effetto (incremento della formazione ossea e riduzione dei processi di riassorbimento osseo) può ridurre il rischio di nuove fratture vertebrali e cliniche entro il primo anno di trattamento, oltre a migliorare il contenuto di massa ossea, con benefici sostenuti anche dopo transizione al trattamento con denosumab. Con questi presupposti romosozumab sembra rispondere bene alle criticità di trattamento tipiche dei pazienti a rischio elevato di frattura.

I risultati dello studio FRAME sono alla base della domanda di registrazione di questo farmaco biologico all’ente regolatorio statunitense, effettuata la scorsa estate.





Cosman F et al. Romosozumab Treatment in Postmenopausal Women with Osteoporosis. N Engl J Med. 2016 Sep 18. [Epub ahead of print]