FOCUS
Una molecola di 120 anni, successi nella prevenzione cardiovascolare e forse un futuro in prevenzione oncologica
Redazione On Medicine
L’Acido Acetilsalicilico (ASA) è stato brevettato a Berlino nel 1899 e risulta il farmaco più impiegato e più documentato, con studi che hanno coinvolto negli anni un numero molto elevato di pazienti.1,2 Lo sviluppo dell’ASA rientra a pieno titolo tra le innovazioni che hanno contribuito a migliorare la vita dell’uomo nello corso dello straordinario progresso della Medicina del secolo scorso, tanto che alcuni studiosi hanno considerato il Novecento “il secolo dell’ASA”.2 Negli anni gli studi condotti hanno consentito di capire come l’ASA, considerato da sempre utile come antipiretico e analgesico, fosse in grado anche di ridurre drammaticamente la mortalità per infarto del miocardio e dovesse essere assunto quotidianamente per ridurre il ripetersi di episodi coronarici o la chiusura di stent precedentemente impiantati, sfruttando il suo effetto di inibizione dell’aggregazione piastrinica.2 Addirittura ha poi sorpreso la dimostrazione che ASA possa ridurre l’incidenza di patologie neoplastiche e la mortalità correlata in diversi studi clinici disegnati per altri scopi.2 Una vera e propria rivoluzione nell’impiego tradizionale dell’ASA è stata infine lo sviluppo e l’impiego del basso dosaggio, soprattutto in prevenzione secondaria nei pazienti affetti da cardiopatia ischemica o malattia cerebrovascolare, che si associa a una consistente e significativa riduzione della mortalità e della ricorrenza di eventi aterotrombotici maggiori, a fronte di un accettabile rischio emorragico, soprattutto non fatale. Tuttavia, questa considerazione non sembra essere trasferibile in modo così semplice alla popolazione di individui che potrebbero avere indicazione ad assumere ASA in prevenzione primaria.2 Le evidenze scientifiche raccolte sinora circa l’impiego di ASA in prevenzione primaria sembrano far propendere la comunità scientifica internazionale verso una valutazione più favorevole che nel passato, grazie al duplice ruolo del farmaco nel prevenire contemporaneamente malattie cardiovascolari e patologie neoplastiche.2 Mancano tuttavia ancora dati chiari e condivisi in merito, che potranno derivare dai numerosi trial prospettici ancora in corso. In attesa che tutti questi aspetti vengano chiariti, nella pratica clinica quotidiana il Medico si trova a dover decidere se trattare o meno i suoi pazienti con ASA, anche in prevenzione primaria, e le indicazioni delle Linee Guida sono controverse. Adottare un atteggiamento troppo prudente, cioè evitare l’impiego del farmaco in prevenzione primaria in tutti i pazienti, potrebbe portare a perdere importanti occasioni di prevenire infarti, ictus e forse tumori. Per aiutare dunque i Medici a prendere decisioni delicate nella pratica clinica, la Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare (SIPREC) ha messo a punto un documento di expert opinion che ha raccolto il punto di vista di grandissimi esperti del campo.2
ASA e pratica clinica in Italia
Nella pratica clinica è comune riscontrare un impiego di ASA in prevenzione primaria, anche se non si dispone ancora di precise e univoche indicazioni su quali individui potrebbero trarre maggiore beneficio dal trattamento. Se da un lato la Food and Drug Administration americana ha negato l’impiego di ASA in prevenzione primaria, al contrario in Italia la sua prescrivibilità sembra dipendere da numerosi fattori: in molti casi prevale la scelta personale del paziente, in base alla propria preferenza e alla disponibilità del farmaco. L’opinione universalmente condivisa dalla comunità scientifica è che la decisione di iniziare la terapia con ASA debba essere valutata caso per caso e debba tenere il più possibile conto delle caratteristiche individuali del paziente, dei benefici attesi, dei potenziali rischi e delle preferenze del soggetto appropriatamente informato.2 La sfida avviata per definire il possibile beneficio netto derivante dalla prescrizione dell’ASA per individui senza precedenti cardiovascolari consiste quindi nell’avere a disposizione una stima attendibile della probabilità di incorrere in eventi ischemici rispetto agli eventi emorragici. In questo dilemma, il ruolo del Medico dovrebbe essere quello di incoraggiare ad assumere ASA gli individui con un’elevata probabilità di incorrere in eventi cardiovascolari e una bassa probabilità di andare incontro a emorragie, scoraggiandone l’impiego in caso contrario.2 In questo contesto la riduzione dell’incidenza e della mortalità per cancro potrebbe essere di grande rilevanza per estendere l’indicazione del trattamento con ASA. La creazione di una carta o di un punteggio per il calcolo del rapporto rischio/beneficio cardiovascolare e oncologico integrato sarebbe quindi fortemente auspicabile e potrebbe costituire uno strumento di fondamentale importanza a disposizione del clinico, in attesa che gli studi prospettici siano in grado di chiarire il duplice ruolo combinato dell’ASA nella prevenzione di patologie cardiovascolari e neoplastiche. Una rappresentazione schematica e semplificata della valutazione clinica è fornita in Figura 1.2
Figura 1. Principi della strategia decisionale per iniziare la terapia con ASA in prevenzione primaria2
I trial in corso
Per quanto riguarda lo sviluppo degli studi prospettici, come accennato in precedenza, sono ora in corso diversi trial sul ruolo dell’ASA in prevenzione primaria, che potrebbero contribuire a colmare la carenza dei dati oggi a nostra disposizione. Lo studio Aspirin and Simvastatin Combination for Cardiovascular Events Prevention Trial in Diabetes (ACCEPT-D) valuterà i benefici dell’aggiunta dell’ASA a basso dosaggio in pazienti diabetici che già assumono simvastatina. L’endpoint primario composito include morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico acuto non fatale, ictus non fatale e ricovero per cause cardiovascolari (sindrome coronarica acuta, attacco ischemico transitorio, arteropatia periferica). È previsto un arruolamento di circa 5.170 pazienti e il raggiungimento di 515 eventi complessivi.2 Lo scopo dello studio A Study of Cardiovascular Events iN Diabetes (ASCEND) è invece quello di valutare, in pazienti diabetici senza precedenti eventi aterotrombotici, se la terapia con 100 mg di ASA sia in grado di ridurre in maniera significativa il numero di eventi cardiovascolari maggiori rispetto a quella con placebo e/o un grammo di acidi grassi polinsaturi Omega-3 e di quantificare gli eventi avversi, in particolare quelli emorragici. L’endpoint primario composito è costituito da: morte per cause cardiovascolari, escluso l’ictus emorragico, l’infarto miocardico acuto non fatale, l’ictus non fatale e l’attacco ischemico transitorio.2 Lo studio Aspirin to Reduce Risk of Initial Vascular Events (ARRIVE) è un trial internazionale randomizzato, in doppio cieco con placebo, volto a valutare l’efficacia in prevenzione primaria e la sicurezza della terapia con 100 mg di ASA gastroprotetto in pazienti a rischio stimato di eventi cardiovascolari >15% a 10 anni (pazienti di sesso maschile di età ≥50 anni e con 2-3 fattori di rischio cardiovascolare e pazienti di sesso femminile di età ≥60 anni con 3 o più fattori di rischio). Lo studio prevede il reclutamento di circa 12.000 pazienti, una durata stimata di circa 5 anni e il raggiungimento di 1.488 eventi complessivi. L’endpoint composito primario è rappresentato da morte per cause cardiovascolari, infarto miocardico acuto non fatale e ictus non fatale.2 Il trial Aspirin in Reducing Events in the Elderly (ASPREE) esaminerà i benefici dell’ASA nella riduzione di infarto miocardico acuto, ictus, demenza e di alcuni tipi di cancro in soggetti di età superiore a 65 anni (70 anni per l’etnia caucasica) rispetto ai potenziali rischi, in particolare di sanguinamento. Lo studio determinerà inoltre il prolungamento degli anni di vita liberi da disabilità. L’endpoint primario è costituito da: morte per tutte le cause, demenza e disabilità fisica persistente. L’endpoint secondario è costituito da: eventi cardiovascolari e cerebrovascolari fatali e non, ospedalizzazione per scompenso cardiaco, cancro fatale e non fatale, eventi emorragici maggiori e depressione.2
Malattie cardiovascolari: le statistiche italiane
In Italia la mortalità totale si è ridotta di più della metà tra il 1980 e il 2013, grazie soprattutto al fatto che la mortalità per cardiopatia ischemica è diminuita del 63%, quella per malattie cerebro-vascolari addirittura del 70%. Le malattie cardiovascolari rappresentano tuttavia ancora la principale causa di morte per gli italiani. Nel 2013 i dati ISTAT evidenziano che queste patologie contribuiscono per il 37% alla mortalità totale (41% nelle donne e 34% negli uomini); mentre le malattie ischemiche del cuore determinano il 12% della mortalità totale (11% nelle donne, 13% negli uomini) e quelle cerebrovascolari il 10% dei decessi (11% nelle donne e 8% negli uomini). Lo scompenso cardiaco rappresenta un problema “emergente”, in quanto spesso costituisce un’evoluzione della cardiopatia ischemica ed è causa ormai di oltre la metà dei ricoveri per malattie cardiovascolari. Dal 1980 al 2000 si è registrata nella popolazione italiana di età 25-84 anni una riduzione degli infarti fatali, non è noto se attribuibile ad azioni di prevenzione primaria sui fattori di rischio della popolazione o ai trattamenti farmacologici e chirurgici in fase acuta, nel setting di prevenzione primaria o secondaria.2 Secondo Luigi Palmieri del Dipartimento Malattie Cardiovascolari, Dismetaboliche e dell’Invecchiamento dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma, dei 42.927 decessi in meno registrati in quei 20 anni per malattia coronarica ben il 58% è attribuibile ai benefici derivanti dalla riduzione dei principali fattori di rischio nella popolazione (effetto ridotto di un 3% per l’incremento del diabete e dell’obesità), mentre il 40% ai benefici derivanti dal complesso dei trattamenti farmacologici e chirurgici (Figura 2).2
Figura 2. Spiegazione della riduzione della mortalità coronarica in Italia dal 1980 al 20022
Sempre secondo Palmieri: “questi risultati enfatizzano l’importanza di una strategia complessiva che da un lato promuova attivamente un’azione di prevenzione primaria di popolazione sulle malattie cardiovascolari perseguendo la riduzione dei principali fattori di rischio attraverso l’adozione di stili di vita salutari, e dall’altra massimizzi la copertura della popolazione con trattamenti farmacologici e chirurgici efficaci”.2
Seppure la condotta scientifica moderna e più logica faccia propendere per un impiego e un’indicazione più chiara dell’ASA in prevenzione primaria solo dopo una conclusione positiva degli studi prospettici in corso, sembra anche ragionevole esaminare una possibile anticipazione di questo utilizzo, almeno in gruppi di soggetti ben selezionati sulla base degli score di rischio. In considerazione del fatto che occorreranno alcuni anni per terminare gli studi prospettici, e trasferire i loro risultati alla comunità medica per l’eventuale impiego clinico, questo modo di agire potrebbe evitare numerosi eventi cardiovascolari e le loro conseguenze: ciò gioverebbe agli individui, ai Sistemi Sanitari, alle Società e all’economia. Lo scopo di questo documento, proposto dalla SIPREC e sviluppato da grandi esperti sull’argomento, è quello di facilitare la comprensione di un grande e importante argomento di prevenzione, che peraltro è ancora oggi complesso e controverso, ma che rappresenterà senz’altro nei prossimi anni uno dei principali temi della prevenzione cardiovascolare.
A cura della Redazione
Bibliografia
- Volpe M et al. G Ital Cardiol 2014;15(7):442-51
- Volpe M et al. Aspirina in prevenzione primaria: un nuovo obiettivo dopo 120 anni? Position Paper della Società Italiana per la Prevenzione Cardiovascolare. Documento presentato in occasione del XV Congresso Nazionale SIPREC Marzo 2017.
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