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Anno XI, Numero 1 - gennaio 2017

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APPROFONDIMENTI

L’ablazione transcatetere nella terapia della fibrillazione atriale: indicazioni, efficacia e implicazioni medico legali

Felice Civitillo U, Picciocchi E, Sullo A

Introduzione


L'ablazione transcatetere (AT), sebbene da tempo tra le opzioni terapeutiche, è ancora poco utilizzata nella terapia della fibrillazione atriale (FA): solo il 5% dei pazienti affetti da FA parossistica ed il 4% di quelli con FA persistente è sottoposto alla procedura.1
Negli ultimi anni il numero delle procedure è aumentato, pur esistendo ancora disparità di allocazione geografica e dei tempi di attesa dei Centri che la praticano.2-3
Una maggiore e più omogenea diffusione della metodica, che troverebbe la sua giustificazione nella maggiore possibilità di controllo del ritmo sinusale rispetto agli antiaritmici, oltre che in un sensibile miglioramento dei sintomi, potrebbe essere determinata da una maggiore conoscenza degli aspetti peculiari della procedura, delle sue indicazioni e delle implicazioni medico-legali, soprattutto in relazione al consenso informato.


Indicazioni


L'AT ha dimostrato di essere efficace nel mantenere il ritmo sinusale e ridurre le recidive di FA determinando un notevole miglioramento dei sintomi e della qualità di vita, sebbene sia ancora da dimostrare un impatto positivo su riduzione della mortalità, incidenza dello stroke e morbidità in generale.3-5-6
La selezione dei pazienti è fondamentale per ottenere i migliori benefici. È necessario valutare il tipo di FA, la presenza di una cardiopatia sottostante, i farmaci assunti e non da ultimo le preferenze del paziente.4-5-8
I migliori risultati si ottengono nei soggetti con FA parossistica,7 di età <60 anni, senza cardiopatia strutturale e con normali dimensioni dell'atrio sinistro.5-6-8 In questo subset di pazienti l'ablazione è indicata anche come terapia di prima linea senza un preliminare tentativo di conversione con antiaritmici. L'approccio precoce, soprattutto nel giovane paziente, riduce signficativamente le recidive in quanto previene le modificazioni elettrofisiologiche e strutturali conosciute come “remodelling atriale” che, modificando il substrato aritmico, lo rende più resistente all'ablazione e spiega la minore efficacia nelle forme persistenti soprattutto se insorte da più di dodici mesi. Nella FA persistente i risultati sono meno buoni, soprattutto nei pazienti più anziani, ipertesi, con cardiopatia strutturale, atrio sinistro notevolmente dilatato, evidenza di fibrosi alla RMN, obesità e OSAS.5-6
La AT potrebbe essere presa in considerazione al ripristino del ritmo sinusale della FA persistente, con la cardioversione elettrica, o dopo aver invano tentato il controllo del ritmo con farmaci antiaritmici.
L'ablazione può essere proposta anche nei pazienti con insufficienza cardiaca aggravata o causata dalla stessa FA, sebbene in questo sottogruppo si registrino più frequenti recidive.
Una non indicazione è proporre l'ablazione in soggetti con FA come alternativa alla terapia anticoagulante, o con l'intento di sospenderla dopo che la procedura ha ripristinato il ritmo sinusale, o infine in quanti presentano controindicazioni alla terapia anticoagulante.


Efficacia


Miglioramento dei sintomi e prevenzione del tromboembolismo sono gli obbiettivi da perseguire con la terapia nei soggetti con FA, nei quali la qualità di vita è particolarmente compromessa.6
Le strategie farmacologiche tese sia al controllo del ritmo che della frequenza si sono dimostrate non vincenti perchè gravate da una limitata efficacia e da frequenti complicanze.3-7
Nel confronto con gli antiaritmici l'ablazione presenta una efficacia maggiore nel controllo del ritmo a un anno dalla singola procedura (66-89% vs 9-58%).9-10 La superiorità viene confermata anche nella metanalisi degli stessi trial, che riporta una efficacia del 77,8% per l’ablazione e del 22,3% per gli antiaritmici. La metanalisi ha considerato anche studi non randomizzati,11-12 mostrando un'efficacia per l’ablazione del 57% e del 77% rispettivamente dopo singola e dopo multiple procedure. L'efficacia saliva ulteriormente se si utilizzavano anche i farmaci per il controllo del ritmo. E tanto con un minor costo in termini di complicanze maggiori: per l’ablazione erano intorno al 5%, contro il 30% degli antiaritmici. Tali dati si applicano principalmente a pazienti con FA parossistica dopo il fallito utilizzo di almeno un farmaco antiaritmico.
Recentemente due studi hanno valutato il ruolo dell’ablazione come terapia di prima linea nella forma parossistica. I risultati del RAAFT 213 hanno mostrato una riduzione significativa di tachiaritmie atriali a 2 anni nel braccio ablazione e il MANTRA PAF ha mostrato una riduzione del burden di fibrillazione a 24 mesi e un migliore controllo dei sintomi nei pazienti trattati con approccio invasivo.
Il SARA Study,14 trial randomizzato, ha mostrato una migliore efficacia dell’ablazione anche nella FA persistente (esclusa la forma long standing) dopo il fallimento di almeno un antiaritmico, rispetto alla terapia farmacologica da sola. Le recidive di FA nei primi 3 mesi dopo la procedura non indicano un insuccesso terapeutico. Infatti, nel 60% dei casi queste non si ripresentano a distanza, dal momento che spesso la causa è di natura infiammatoria o autonomica e non implica una mancata deconnessione delle vene polmonari.
L’utilizzo di farmaci antiaritmici nei primi tre mesi riduce le recidive ma non modifica l’outcome a lungo termine; sebbene raramente sia necessaria una nuova procedura di ablazione precocemente. È preferibile effettuare un tentativo di cardioversione elettrica per ristabilire il ritmo sinusale ed eventualmente utilizzare farmaci antiaritmici per mantenerlo fino al termine del “blanking period”. Dopo i primi tre mesi, circa il 20-40% dei pazienti va incontro a una nuova procedura di ablazione, che incrementa l’efficacia del 10-15% rispetto al primo e/o a un singolo tentativo.
Generalmente il motivo principale del fallimento è la riconnessione delle vene polmonari. Dati recenti apparsi in Letteratura indicano che le recidive possono verificarsi anche molto tardivamente, 1 o 2 anni dopo la procedura, portando un 10-20% dei pazienti a effettuare nuovamente la procedura. Anche nelle recidive molto tardive il meccanismo fisiopatologico di base sembra essere legato, nella maggior parte dei casi, alla riconnessione delle vene polmonari.


Tecnica


L'ablazione mira a realizzare l'isolamento elettrico delle vene polmonari dal tessuto miocardico circostante, utilizzando principalmente due forme di energia: la radiofrequenza o la crioterapia.
La fisiopatologia della FA si basa su due elementi essenziali, che sono il trigger e il substrato.
Il trigger è l’elemento che dà inizio all’aritmia, ma nella gran parte dei casi non è ciò che la sostiene: pertanto esso acquista un ruolo predominante nelle forme parossistiche. Il substrato è invece essenziale nel mantenere la FA: pertanto diviene predominante nelle forme persistenti e permanenti.
Il trigger è localizzato nella maggior parte dei casi a livello delle vene polmonari ed è costituito da fibre di miociti atriali circondate da tessuto fibroso che si estendono all’interno delle vene e che mostrano attività di firing rapido. In alcuni casi il trigger può localizzarsi a livello del seno coronarico, delle vene cave o del legamento di Marshall; infine può essere costituito da altre aritmie sopraventricolari.
Il substrato è dato dall’insieme delle caratteristiche elettriche e anatomiche dell’atrio, che consente il perpetuarsi della fibrillazione anche quando lo stimolo del trigger è cessato.
Il target che viene ricercato comunemente nell’ablazione è l’isolamento elettrico delle vene polmonari, dimostrando un blocco bidirezionale. Le vene polmonari costituiscono il trigger più frequente e spesso anche il substrato, dal momento che oltre a costituire la sede del firing possono ospitare circuiti di rientro o di esaltato e persistente automatismo. Il mappaggio dei potenziali all’interno delle vene polmonari viene usualmente effettuato con un catetere circolare multielettrodo o con un catetere basket che consente un mappaggio anche longitudinale della vena polmonare. L’anatomia dell’atrio sinistro viene ricostruita grazie a sistemi di mappaggio tridimensionale che forniscono la mappa elettroanatomica dell’atrio. Per migliorare l’accuratezza della ricostruzione dell’atrio e quindi l'outcome della procedura, il sistema di mappaggio può essere integrato con immagini TC o MRI ottenute in precedenza. Nuove informazioni integrate possono essere ottenute grazie ai sensori di contatto localizzati sul catetere ablatore che consentono di migliorare l’efficacia delle lesioni minimizzando il rischio di perforazione.
Nelle forme persistenti, soprattutto quelle di lunga durata, oltre all’isolamento delle vene polmonari possono essere aggiunte lesioni lineari a livello del tetto dell’atrio, della parete posteriore, dell’istmo mitralico o possono essere eliminati i potenziali atriali frammentati. È controversa l’utilità di aggiungere queste lesioni a livello atriale, dal momento che aumentano il rischio di complicanze e soprattutto di sviluppare forme di flutter atriale atipico o tachicardia atriale.
Le lesioni durante la procedura di ablazione possono essere effettuate “point-by-point” con l’erogazione prevalentemente di radiofrequenza e con l’assistenza di sistemi di mappaggio per localizzare la regione antrale delle vene o con metodiche “one shot”. Le più utilizzate sono costituite dall’utilizzo di un catetere multielettrodo con radiofrequenza bifasica o da un pallone che, posizionato in maniera occludente a livello della vena, eroga crioenergia. Meno comune è l’utilizzo di sistemi laser per l’isolamento one-shot delle vene polmonari.
Indipendentemente dalla metodica e dalla fonte di energia utilizzata, l’obiettivo principale è quello di isolare le vene polmonari dimostrando un blocco bidirezionale, considerando che le recidive nella maggior parte dei casi sono dovute a una riconnessione delle stesse soprattutto nelle forme parossistiche.


Anticoagulazione


L’ablazione transcatetere della FA comporta un rischio tromboembolico non trascurabile. Le trombosi può realizzarsi a livello del catetere utilizzato per la procedura, sull’endocardio nella sede della lesione, ma anche preesistere in auricola. Coloro che si trovano in FA, ma anche coloro che sono in ritmo sinusale, dovrebbero, come per la cardioversione elettrica, effettuare almeno 3 settimane di terapia anticoagulante prima della procedura, in alternativa eseguire un ecocardiogramma transesofageo per escludere la presenza di trombi in auricola. Coloro che sono in ritmo sinusale e presentano un rischio tromboembolico molto basso (maschi con CHA2DS2VASc 0 o femmine con CHA2DS2VASc 1) potrebbero iniziare l’anticoagulante direttamente dopo la procedura, anche se in molti casi è preferibile eseguire un ecocardiogramma transesofageo prima dell’ablazione.15
Per coloro che assumono VKA è necessario un INR fra 2-3 e una persistenza in TTR>70% per diverse settimane, mentre per coloro che assumono NOAC è necessario verificare una adeguata compliance terapeutica.
A ridosso della procedura le evidenze scientifiche supportano un uso ininterrotto dei VKA con INR 2-3, evitando il bridging con l’eparina a basso peso molecolare, dal momento che non è emersa una differenza in termini di complicanze emorragiche. Per i NOAC è ancora preferibile la sospensione 24 ore prima per il rivaroxaban e 24 ore prima o più per il dabigatran in base alla funzione renale.
Durante la procedura, indipendentemente dalla sospensione o meno dell’anticoagulante, viene mantenuta la anticoagulazione con boli refratti di eparina non frazionata o con bolo unico e successiva infusione continua al fine di mantenere un ACT>300 s. Dopo 4-6 ore dalla procedura, a emostasi avvenuta e dopo l’esclusione di versamento pericardico, può essere iniziato nuovamente l’anticoagulante orale o può essere somministrata enoxaparina se viene effettuata una strategia di bridging o per livelli subterapeutici di INR.
Dopo la procedura, l’anticoagulazione dovrebbe essere mantenuta per almeno due mesi, periodo nel quale il rischio embolico è più elevato.
La terapia anticoagulante a lungo termine deve essere decisa in base alla stratificazione del rischio tromboembolico del paziente e non sulla percezione di efficacia dell’ablazione. Non vi sono ad oggi dati sufficienti per affermare con certezza che l’ablazione possa ridurre il rischio di eventi tromboembolici cerebrali e sistemici e pertanto la terapia anticoagulante orale deve essere proseguita ove indicato indipendentemente dal risultato dell’ablazione.


Complicanze


L’ablazione transcatetere della FA è una delle procedure elettrofisiologiche invasive più complesse e pertanto il rischio di complicanze è superiore a quello associato all’ablazione di altre aritmie. Il rischio di complicanze maggiori legate alla procedura di ablazione è di circa il 5% e la maggior parte delle complicanze sono di natura vascolare. Il rischio di riospedalizzazione a 30 giorni è di circa il 9% ed è dovuto sia a recidive dell’aritmia sia alle complicanze periprocedurali. L’età avanzata e l’esperienza del Centro dove si esegue l’ablazione sono i predittori principali di complicanze.16
Il tamponamento cardiaco rappresenta una complicanza che si verifica nell’1,2% dei casi e può essere dovuto alla perforazione durante la manipolazione dei cateteri, alla puntura transettale oppure al sovrariscaldamento ed è facilitato dall’utilizzo intraprocedurale di anticoagulanti. Generalmente è sufficiente il drenaggio percutaneo e raramente è necessario quello chirurgico. La stenosi delle vene polmonari è riportata in circa l’1,3% dei casi e raramente è sintomatica; l’erogazione di radiofrequenza a livello antrale riduce il rischio di stenosi.
Il danno esofageo è una complicanza temibile e la formazione di una fistola atrio-esofagea, sebbene rara (0,1%), è quasi sempre fatale. Per tale motivo viene posta particolare attenzione durante l’applicazione di radiofrequenza lungo la parete posteriore dell’atrio, riducendo i tempi e la potenza erogata.
Danni al nervo vago, che forma un plesso lungo la parete esofagea anteriore, o al nervo frenico destro, con risultante paresi diaframmatica, sono complicanze più rare ma fortemente invalidanti. Il pacing dalla vena cava superiore per monitorare la funzione del nervo frenico destro durante l’ablazione a livello della vena polmonare superiore destra è la strategia più usata per identificare precocemente un danno al nervo ed eventualmente cessare l’erogazione prima che questo divenga irreversibile.
Lo stroke è una complicanza varia a seconda delle casistiche (0-7%) e può derivare da trombosi all’interno dei cateteri, da trombi che si formano nei siti di ablazione o già presenti all’interno dell’auricola. Lesioni da microemboli asintomatici riscontrate a esami di neuroimaging sono riportati nel 17% dei casi e il legame con il deterioramento cognitivo non è stato accertato, mentre sono stati messi in relazione all’utilizzo di cateteri circonferenziali multielettrodo non irrigati.17
Le complicanze vascolari sono le più frequenti e si localizzano nei siti di accesso (fistole, ematomi, pseudoaneurismi).
La pericardite può verificarsi come conseguenza delle lesioni transmurali dovute all’ablazione e spesso è asintomatica ma in alcuni casi può portare a versamento pericardico e tamponamento cardiaco; per questo il monitoraggio ecocardiografico è essenziale nel post-procedura.
Complicanze rare sono emboli gassosi, lesioni coronariche e danni all’apparato valvolare mitralico mentre non deve essere trascurata l’esposizione a radiazioni ionizzanti. Il decesso è una complicanza infrequente riportata nello 0,1% dei casi.


Consenso informato


Rilevanza medico-legale assume la trasmissione di idonea informazione, tramite consono colloquio medico-paziente, finalizzata all’ottenimento di adeguato consenso del paziente al trattamento della fibrillazione atriale con ablazione transcatetere.
Nello specifico, il “modello informativo” formulato dalla A.I.A.C. (Associazione Italiana Aritmologia e Cardiostimolazione),2 di apprezzabile valenza medico-giuridica, prevede che le informazioni relative all’intervento di ablazione transcatetere che il medico deve trasmettere al paziente siano chiare, complete ed esaustive, comprendendo l’elencazione delle patologie per le quali vi è indicazione alla specifica tecnica, le finalità dell’intervento, la descrizione della tecnica operatoria, l’enumerazione delle possibili complicanze, le prospettabili ipotesi alternative alla tecnica e le probabilità di successo.
Segno di avvenuta congrua informazione e, peraltro, mezzo di prova in eventuale ambito giudiziario sarà, e appare rilevante, la sottoscrizione del documento informativo sia da parte del paziente, ricevitore di informazioni, che da parte del sanitario, trasmissore di adeguate informazioni e accettore della volontà del paziente. Apposito spazio riservato, nella modulistica prospettata dall’A.I.A.C., è dedicato ai casi di paziente minorenne, nei quali spetta a entrambi i genitori sottoscrivere il documento (qualora sia presente solo un genitore occorre allegare il previsto modello di autocertificazione) e anche ai casi di paziente interdetto, nei quali sarà il legale rappresentante a sottoscrivere il modulo, avendo cura di allegare la documentazione indicativa dei suoi “poteri” giuridici in rapporto al paziente.18
Nelle evenienze, poi, di paziente di nazionalità straniera, a cui risulta difficile la comprensione della lingua parlata dai sanitari, è indicata la necessità di trasmettere le informazioni “tramite interprete e testimoni”.
L’apposito modello stilato dall’A.I.A.C. prevede anche alcuni aspetti interessanti sotto il profilo medico-legale: la possibilità, da parte del paziente, di “revocare il consenso in qualsiasi momento prima dell’intervento” e anche di autorizzare o meno l’operatore all’esecuzione di “eventuali procedure addizionali ritenute opportune dall’operatore durante l’intervento (es. cardioversione elettrica)” nell’interesse della salute del paziente e della migliore riuscita dell’intervento stesso, “con l’impegno di descrivere nel registro operatorio nel modo più esaustivo le condizioni intra operatorie che le hanno motivate”. Ne discendono la piena libertà decisionale del paziente in qualunque momento precedente all’intervento, il principio del diritto alla salute, di comune interesse del paziente e del medico, e la opportunità di una descrizione scritta dell’operato sanitario nel registro operatorio della cartella clinica, tale che sia di fede privilegiata e garantisca al paziente le opportune motivazioni dell’operato sanitario, qualora richieste, e al medico la possibilità di cristallizzare e dimostrare la genuinità della propria opera.
Tutto ciò al fine di una ottimale gestione del rapporto medico-paziente, deontologicamente inteso, e allo scopo di garantire una serena e consapevole accettazione del trattamento da parte del paziente e al fine di garantire una condotta sanitaria scevra da incertezze e rispettosa delle regole di prudenza, diligenza e perizia.
Non può tralasciarsi anche la possibilità, in tal modo, di evitare l’ingenerarsi di eventuali contenziosi giudiziari, a volte pretestuosi, in tema di responsabilità professionale medica.




A cura di:
Felice Civitillo U1-2, Picciocchi E1, Sullo A1

1UOC Medicina Legale INPS di Avellino
2UOC Medicina di Base - Distretto 31 - ASL Napoli 1 Centro

Bibliografia


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