Una serie di articoli sulle principali patologie retiniche scritti da Ortottisti di provata esperienza
Parte II - Scelta del trattamento e comunicazione con il paziente
S. Pasquetti
DEGENERAZIONE MACULARE LEGATA ALL’ETÀ
La degenerazione maculare legata all’età (DMLE) è la principale causa di grave e irreversibile riduzione visiva nei paesi industrializzati; colpisce soggetti con età superiore ai 65 anni.
Si tratta di un’affezione che interessa la macula, porzione centrale della retina e sede della visione distinta.
Note epidemiologiche
Una recente ricerca che ha preso in considerazione tre studi condotti in diversi continenti su una vasta popolazione ha evidenziato la presenza di DMLE nello 0,2% della popolazione con età compresa tra i 55-64 anni e nel 13% della popolazione di età >85 anni. Per via dell’incremento dell’aspettativa di vita, è stato riscontrato un maggiore impatto della patologia nei paesi industrializzati per lo più occidentali.
Classificazione clinica
Comunemente la DMLE viene classificata in:
- DMLE iniziale (forma secca)
- DMLE evoluta ( forma essudativa o neovascolare e forma atrofica).
Tale classificazione sta ad indicare il momento diverso di esordio, a significato ingravescente ed a prognosi visiva peggiorativa della malattia stessa.
I pazienti con DMLE secca (o iniziale) presentano lesioni retiniche quali drusen (piccole formazioni di residuo proteico-lipidico che si formano sotto la retina) e aree con alterata pigmentazione (per lo più iperpigmentazione), ma nella maggior parte dei casi hanno un buon livello di acuità visiva.
Nei pazienti con DMLE essudativa o neovascolare è presente una grave perdita della capacità visiva poiché tale forma porta alla formazione di una zona centrale di cecità (scotoma centrale) secondaria alla formazione di neovasi, limitrofi o nella parte centrale della macula, che provengono nella maggior parte dei casi dalla coroide e portano alla formazione di una cicatrice fibrovascolare che distrugge la macula.
Nella DMLE atrofica si manifestano alterazioni atrofiche della retina e della coriocapillare in sede maculare (cosiddetta atrofia geografica) che raramente portano alla perdita improvvisa e totale della capacità visiva.
I trattamenti attualmente disponibili sono mirati alla prevenzione e alla cura della DMLE di tipo neovascolare, mentre non esiste ancora alcun trattamento per la DMLE atrofica.
Fattori di rischio
I fattori di rischio, oltre all’età avanzata, sono:
- fumo di sigaretta (il rischio di contrarre la DMLE nei fumatori è tre volte maggiore rispetto ai non fumatori)
- familiarità (in presenza di consanguinei affetti dalla malattia il rischio sale di 4 volte)
- genere femminile (la maggior parte dei pazienti affetti sono donne)
- razza ed etnia (la razza caucasica ha prevalenza maggiore)
- errore refrattivo (per ogni diottria di ipermetropia c’è il 5% di aumento del rischio di sviluppare una DMLE)
- colore dell’iride (persone con iridi scure, ricche di melanina e perciò ben pigmentate, risulterebbero maggiormente protette dal danno ossidativo provocato dalla luce)
- cataratta (i pazienti con storia clinica di chirurgia della cataratta hanno statisticamente un rischio significativo di sviluppo o progressione di DMLE avanzata)
- alcool
- esposizione ai raggi solari
- ipertensione arteriosa.
Diagnosi
La diagnosi di DMLE si effettua con la valutazione dei sintomi soggettivi riferiti dal paziente, l’osservazione delle caratteristiche lesioni della malattia mediante l’esame oftalmoscopico del fondo oculare e l’ausilio delle attuali tecniche di imaging: la fluorangiografia (FAG), l’angiografia al verde di indocianina (ICG) e la tomografia ottica a luce coerente (OCT e angio OCT). Ognuna di queste metodiche permette la visualizzazione delle specifiche caratteristiche del tipo di lesione, la loro classificazione e il monitoraggio della malattia nel tempo, risultando di notevole utilità anche per la valutazione dell’efficacia di qualsiasi tipo di trattamento.
I sintomi riferiti che rimandano alla presenza di una DMLE sono le metamorfopsie (distorsioni delle immagini), lo scotoma (visione di una macchia fissa centrale), un calo visivo spesso associato ad alterazione della visione dei colori e micropsia (visione di immagini rimpicciolite).
La distorsione delle immagini risulta essere nella maggior parte dei casi il primo e più allarmante sintomo di una comparsa di DMLE, e rappresenta nello stesso tempo un campanello di allarme per un’eventuale riattivazione di una lesione preesistente in pazienti già affetti dalla patologia. È quindi utile fornire al paziente affetto da DMLE iniziale il test di Amsler, un esame di facile esecuzione che permette di evidenziare l’insorgenza di tale sintomo e di valutarne l’andamento nel tempo. Il test si esegue mediante l’uso di un quadrilatero quadrettato con al centro un punto nero, che deve essere osservato alla distanza di 30 cm con la migliore correzione per lettura. Dopo aver coperto con la mano un occhio, con l’occhio scoperto il paziente deve fissare il punto nero centrale del reticolo, e se le linee circostanti ad esso appaiono discontinue, ondulate o deformate è necessario che contatti il prima possibile il proprio oculista.
Trattamento
Prevenzione
La prevenzione risulta essere senza ombra di dubbio il primo passo nella cura delle patologie maculari. Lo studio AREDS (age-related eye disease study) ha messo in evidenza l’efficacia dell’utilizzo di antiossidanti e zinco ad alto dosaggio per ridurre il rischio di progressione alla forma avanzata in pazienti con DMLE con presenza di drusen in entrambi gli occhi o affetti dalla forma avanzata di DMLE in un solo occhio.
Terapia antiangiogenica
Nel trattamento delle forme più avanzate da qualche anno si è assistito all’utilizzo sempre maggiore di farmaci antiangiogenici. Tali farmaci agiscono mediante l’inibizione del VEGF (vascular endotelial growth factor), un fattore di crescita alla base dello sviluppo dei neovasi responsabili delle forme più avanzate ed aggressive della DMLE, impedendone così la crescita.
Terapia fotodinamica
Si tratta di una delle prime tra le terapie nate per il trattamento delle DMLE di tipo neovascolare e oggi è utilizzata solo in alcune particolari forme di neovascolarizzazione, soprattutto “polipoidali”, da sola o in terapia combinata con i farmaci anti-VEGF. Il trattamento si basa sulla distruzione selettiva delle pareti del vaso neoformato attraverso l’attivazione fotochimica di una sostanza iniettata a livello sistemico, la verteporfina.
Terapia laser termico fotocoagulativo
Questa metodica è utilizzata solo per il trattamento di alcune forme di DMLE; è infatti indicata unicamente nei casi in cui la lesione appare localizzata al di fuori della porzione centrale della macula (neovascolarizzazioni extrafoveali).
Terapia chirurgica
Alcune terapie chirurgiche sono state usate negli ultimi anni in pazienti affetti da degenerazione maculare essudativa; si tratta in particolare della traslocazione maculare e della chirurgia submaculare. I rischi correlati a queste procedure chirurgiche sono elevati; a causa di ciò e della difficoltà di esecuzione risulta improbabile che esse possano diventare di uso comune nel trattamento di tali patologie, anche qualora future ricerche condotte su pazienti selezionati ne dovessero dimostrare in modo convincente i benefici.
OCCLUSIONE VENOSA RETINICA
Definizione
Con il termine occlusione venosa retinica (RVO - retinal vein occlusion) si fa riferimento a un gruppo eterogeneo di malattie retiniche neovascolari che sono in grado di determinare un grave peggioramento della funzione visiva e che si distinguono per aspetti clinici, patogenesi, decorso e complicanze. Le RVO si verificano ogni qualvolta risulta ostruita la circolazione di una vena retinica: il blocco della circolazione causa la formazione di emorragie a livello retinico, e si possono frequentemente manifestare come conseguenza lo sviluppo di aree ischemiche (aree insufficientemente irrorate) e\o un edema maculare. L’occlusione può interessare la vena centrale della retina, e in questo caso si parlerà di occlusione della vena centrale della retina (CRVO); oppure solo un ramo della suddetta vena, e si tratterà di occlusione venosa di branca retinica (BRVO).
L’area di maggior interessamento dell’occlusione della vena centrale retinica risulta essere la lamina cribrosa; tale occlusione si verifica a seguito della turbolenza del flusso e della contemporanea presenza di altri fattori reologici o di alterazioni parietali. Per quanto riguarda il sito preferenziale dell’occlusione di branca, invece, si tratta dell’incrocio artero-venoso; questa occlusione risulta essere causata da un processo multifattoriale che comprende maggior viscosità ematica e ostruzione meccanica.
Note epidemiologiche
A livello mondiale, la prevalenza della RVO standardizzata per età e sesso è pari al 5,2 per mille (BRVO 4,42‰; CRVO 0,80‰); la prevalenza non presenta differenze legate al sesso, e aumenta con l’aumentare dell’età dei pazienti.
Fattori di rischio
I fattori di rischio per la RVO sono molteplici ed in genere sono comuni a quelli riscontrati nelle alterazioni vascolari coinvolgenti altri aree corporee, come nel caso di coronaropatie o ictus. Similarmente nella CRVO e nella BRVO, i principali fattori di rischio sono cardiovascolari, come ipertensione arteriosa, iperlipidemia, diabete mellito, aterosclerosi, obesità, occlusione carotidea e abitudine al fumo.
Possono rientrare tra i fattori di rischio anche le alterazioni reologiche, come l’aumento della viscosità del plasma, l’aumento dell’ematocrito, l’aumento dell’aggregazione dei globuli rossi, la riduzione della deformabilità dei globuli rossi. Anatomicamente i capillari retinici periferici hanno un calibro ridotto rispetto alle dimensioni degli eritrociti e solo eritrociti assai elastici e capaci di deformarsi sono in grado di attraversarli.
Di grande importanza risultano essere l’alterazione della viscosità del plasma (nella sindrome da iperviscosità possono presentarsi quadri bilaterali di occlusione centrale della vena retinica), lo stato trombofilico (iperomocisteinemia, anticorpi anti-fosfolipidi, resistenza alla proteina C attivata - fattore V di Leiden - mutazioni, bassi livelli di inibitori del plasminogeno, contraccettivi orali.
Fattori di rischio locali sono: glaucoma (rischio di contrarre una CRVO 5-7 volte maggiore rispetto a un soggetto sano), traumi (in genere presente nei dati anamnestici di soggetti con CRVO), vasculite retinica, occlusione dell’arteria centrale e ogni condizione che provoca una riduzione del canale della lamina cribrosa come papilledema, drusen, malformazioni artero-venose che sono la causa dell’ipertensione venosa; la sindrome da iperviscosità (policitemia, macroglobulinemia, leucemia e mieloma).
Diagnosi
La diagnosi di RVO si basa principalmente sulla valutazione oftalmoscopica, anche se di estrema utilità sono i test funzionali e morfologici. Recenti valutazioni hanno suggerito diagnosi e trattamenti più precoci e l’esecuzione di esami come: l’oftalmoscopia, l’esame biomicroscopico del fondo oculare, la fluorangiografia e la tomografia a coerenza ottica, necessaria per lo più per il follow- up del paziente. Nei pazienti di età compresa tra i 43 e 69 anni affetti da RVO, l’aumentato rischio di mortalità cardiovascolare impone una profilassi primaria degli eventi cardiovascolari, con un trattamento a lungo termine a base di farmaci antitrombotici.
Terapia
Terapie intravitreali
L’uso dei farmaci anti-VEGF nei disordini retinici vascolari induce un miglioramento dell’acuità visiva e una riduzione dello spessore maculare; necessita di un numero di iniezioni multiple per la gestione della patologia (reiterazione della procedura).
La terapia intravitreale può avvalersi anche di impianti intravitreali a lento rilascio di desametasone.
Terapia laser
Il laser non è una strategia terapeutica atta a curare l’RVO, ma esclusivamente le sue complicanze (edema maculare o neovascolarizzazione). Il trattamento laser ha rappresentato lo standard of care per edema maculare secondario ad occlusioni venose di branca; in caso di CRVO ischemiche o neovascolarizzazione retinica secondaria a BRVO il trattamento laser periferico è utile per controllare la neoangiogenesi.
L’approccio chirurgico non è giustificato da evidenze forti; tuttavia esistono alcune situazioni cliniche particolari nelle quali evidenze di compartecipazione vitreale possono giustificare l’approccio chirurgico.
RETINOPATIA DIABETICA
La più importante complicanza oculare associata al diabete mellito è la retinopatia diabetica. Questa risulta essere la principale causa di cecità legale nei soggetti in età lavorativa nei paesi industrializzati. I sintomi appaiono tardivamente, quando le lesioni sono già avanzate, e ciò limita l’efficacia del trattamento.
Il diabete è una malattia caratterizzata da un aumento del glucosio nel sangue (iperglicemia), provocato da un’insufficienza assoluta o relativa di insulina (l’ormone prodotto dal pancreas che serve ad utilizzare lo zucchero nei tessuti dell’organismo). Ad oggi il diabete viene suddiviso in due forme: diabete di tipo 1, che colpisce per lo più bambini e adolescenti, causato dalla distruzione delle cellule beta del pancreas deputate a produrre l’insulina; e il diabete di tipo 2, che riguarda soprattutto gli adulti e che è caratterizzato dall’insufficiente produzione di insulina da parte delle cellule beta e/o da un difetto di azione dell’insulina stessa.
Note epidemiologiche
I dati epidemiologici riportano che almeno un 30% della popolazione diabetica è affetta da retinopatia e che annualmente l’1% di questi soggetti è colpito dalla forma grave della stessa. In Italia circa il 3%-4% degli individui è affetto dal diabete e la prevalenza aumenta con l’età; ciò sta ad indicare, per esempio, la presenza di 180.000 soggetti diabetici nella regione Lazio, con circa 50.000 di essi potenzialmente affetti da retinopatia diabetica. Si stima che in 1 caso su 10 è presente una forma di diabete di tipo 1. Inoltre, circa in un terzo - metà dei casi è presente una forma di diabete di tipo 2 non ancora diagnosticata in quanto asintomatica. L’ Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato un raddoppio dei casi di diabete in Europa entro il 2025 per via dell’aumento di fattori di rischio quali l’invecchiamento della popolazione, la sedentarietà e le scorrette abitudini alimentari.
Fattori di rischio
Tra i principali fattori di rischio associati alla comparsa precoce e a una rapida evoluzione della retinopatia diabetica si hanno: la durata del diabete, il cattivo controllo glicemico e l’eventuale ipertensione arteriosa concomitante. Senza dubbio, il controllo glicemico è il più importante fattore di rischio modificabile; è stato infatti dimostrato che l’ottimizzazione del controllo glicemico e dell’ipertensione arteriosa, quando presente, ritardano la comparsa e rallentano il peggioramento della retinopatia diabetica.
Classificazione clinica
La retinopatia diabetica viene classificata in due forme: una più precoce e meno grave (retinopatia diabetica non proliferante) e una avanzata (retinopatia diabetica proliferante); quest’ultima si divide in 3 gradi: lieve, moderato ed avanzato.
La prima, se non riconosciuta e trattata tempestivamente, tende ad evolversi verso la forma proliferante altamente invalidante. Nella retinopatia diabetica non proliferante l’iperglicemia danneggia la struttura dei vasi sanguigni, predisponendo alla formazione di microaneurismi, microemorragie e anomalie del calibro vascolare retinico (IRMA) che possono indurre, attraverso le pareti danneggiate degli stessi vasi, il passaggio di alcune componenti del sangue (ciò è alla base dei fenomeni edematosi ed essudativi) o una ridotta perfusione del tessuto retinico fino ad arrivare a una completa ischemia, che tende a manifestarsi inizialmente con la presenza di essudati cotonosi.
Importante è l’identificazione di una retinopatia non proliferante avanzata, poiché se essa si evolve senza essere trattata, nel 40% dei casi può trasformarsi entro 1 anno in una retinopatia diabetica proliferante.
L’occlusione dei capillari retinici e la conseguente formazione di aree retiniche ischemiche sono lo stimolo per la formazione di neovasi retinici, caratterizzanti la forma proliferante, che, non avendo una struttura adeguata, possono rompersi con facilità, con il rischio di emorragie pre- retiniche ed endovitreali e distacchi retinici secondari.
Diagnosi
Soprattutto negli stadi precoci, la retinopatia diabetica risulta asintomatica. L’assenza di sintomi non comporta l’assenza di microangiopatia retinica diabetica, dal momento in cui il calo visivo riferito dal paziente compare solo quando è interessata la regione maculare (zona centrale retinica). Tale situazione può essere il segno precoce di malattia, ma può anche non essere presente negli stadi avanzati di retinopatia diabetica non proliferante o proliferante.
Lo screening delle complicanze oculari effettuato con tecniche efficaci permette di diagnosticare precocemente le forme ad alto rischio e, di conseguenza, prevenire la perdita della vista. La diagnosi precoce risulta dunque essere un elemento essenziale per impedire il peggioramento della retinopatia diabetica, che in casi gravi può portare alla cecità. Mediante visite oculistiche periodiche con esame del fondo oculare, controllo glicemico e della pressione arteriosa sistemica, si possono prevenire e combattere i possibili danni causati dalla malattia. Di notevole importanza nella diagnosi e classificazione del grado di retinopatia risulta essere la fluorangiografia poiché permette di analizzare nel dettaglio le alterazioni funzionali e morfologiche dei vasi retinici, fornendo indicazioni fondamentali per eventuali trattamenti laser. Tra gli altri esami diagnostici possiamo citare l’OCT (tomografia a coerenza ottica) e il controllo periodico, da parte dell’oculista, del fondo oculare per una corretta valutazione di eventuali modifiche retiniche in ampi periodi di tempo.
Terapia
I trattamenti più adeguati a contenere la frequenza di comparsa o di aggravamento della malattia sono senza dubbio un’attenta prevenzione e un compenso metabolico. Con la presenza di complicanze oculari, vi è la possibilità di intervenire in modo efficace a seconda del caso clinico specifico mediante:
- trattamenti laser, in grado di migliorare la prognosi visiva nelle forme edematose e nel ridurre le complicanze delle forme proliferanti neovascolari;
- iniezioni intravitreali di anti-VEGF, necessari per la regressione dei neovasi, nelle forme refrattarie al trattamento laser e nelle forme edematose di una certa entità (>400 micron spessore centrale della regione maculare risultante all’esame OCT).
- impianto intravitreale di desametasone a lento rilascio
- chirurgia vitreo-retinica, che tendenzialmente è utilizzata nei casi clinici più gravi (retinopatia proliferante con emorragie vitreali recidivanti e/o distacco retinico trazionale).
MACULOPATIA NEOVASCOLARE IN MIOPIA PATOLOGICA
La neovascolarizzazione coroidale (CNV) è tra le più importanti complicanze della miopia patologica, una delle principali cause di disabilità visiva in tutto il mondo, che colpisce in particolare soggetti dai 20 ai 50 anni di età. I tassi di prevalenza oscillano tra il 2% e il 9%. Soprattutto nei paesi asiatici la miopia è elevata, con un tasso di 9-21%, se confrontato con il 2-4% nella razza caucasica. La patogenesi della miopia non è stata ancora del tutto chiarita; fattori genetici ed ambientali possono svolgere un importante ruolo.
La miopia patologia si caratterizza per una eccessiva lunghezza assiale (>26 mm) con alterazioni degenerative secondarie di sclera, coroide, membrana di Bruch, epitelio pigmentato retinico e retina. Tali cambiamenti si concentrano nel fondo oculare, nella zona periferica e maculare, manifestandosi con stafiloma posteriore, zone di atrofia corioretinica e lo sviluppo di neovascolarizzazione coroideale al centro della macula.
La CNV nella miopia patologica
Tra le più gravi complicanze della miopia patologica c’è la CNV, che si verifica nel 5-10% dei pazienti miopi, in modo più frequente nelle donne (67%) rispetto agli uomini. La CNV è subfoveale in circa il 58% dei casi, e nel 32% iuxtafoveale; generalmente colpisce i soggetti tra i 40 e 50 anni e ha una prognosi sfavorevole, con un significativo rischio di deterioramento visivo. Le “lacquer cracks” (interruzioni lineari della membrana Bruch) sono associate a CNV nell’82% dei casi. In fase avanzata, la CNV appare come una macchia (macchia di Fuchs): cicatrice maculare pigmentata talvolta associata a fibrosi e atrofia retinica.
Nei pazienti miopi con CNV, entro 8 anni dall’esordio oltre il 30% svilupperà CNV nell’occhio controlaterale.
Diagnosi
L’esame del fondo oculare può consentire di apprezzare un piccolo nodulo pigmentato o rossastro sotto la retina, spesso circondato da un anello di pigmento con emorragia maculare. Tipicamente la CNV miopica ha sede tra la retina neurosensoriale e l'epitelio pigmentato retinico. L’elevazione della retina neurosensoriale in associazione alla CNV è estremamente modesta, risultando difficile da distinguere clinicamente a causa dell’accumulo minimo del fluido sottoretinico e dell’essudazione.
L’esame principale per la diagnosi di CNV miopica è la fluorangiografia; risultano utili anche l’OCT e l’angio-OCT. Gli OCT attuali presentano una risoluzione tale da evidenziare la CNV e, nel caso di patologie legate ai soggetti miopi, consentono di osservare trazioni vitreoretiniche, piccoli fori maculari non visibili clinicamente, retinoschisi, talora associati alla CNV o causa primaria del calo visivo del paziente.
Storia naturale
Studi a lungo termine sulla storia naturale della CNV miopica hanno rilevato che tale lesione provoca essudazione cronica, emorragia sottoretinica e, nello stadio terminale, atrofia corioretinica. Rari sono i casi di involuzione spontanea.
Studi recenti hanno registrato un deterioramento visivo fino a 20/200 o meno nel 96% degli occhi di pazienti monitorati per 10 anni dopo la diagnosi di CNV.
Malattie infiammatorie correlate alla miopia
Alla miopia possono essere associate alcune malattie di presunta origine infiammatoria; tra queste, ricordiamo la coroidopatia puntata interna (PIC), la multiple evanescent white dot syndrome (MEWDS) e la coroidite multifocale. È quindi necessario un preciso inquadramento diagnostico, poiché la storia naturale e la cura di queste patologie possono essere diverse.
Opzioni terapeutiche per la CNV miopica
La CNV miopica può essere tratta mediante la fotocoagulazione laser, la chirurgia submaculare, la terapia fotodinamica, la termoterapia transpupillare, alcune delle quali non sono più in uso, e con le iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF.
Fotocoagulazione laser
La fotocoagulazione laser termica è stata utilizzata per diversi anni, ma per la CNV miopica è risultata di limitato beneficio. Lo scopo del laser è quello di eliminare la CNV per preservare la funzione maculare: il successo è fortemente legato dalla capacità di eliminare la CNV senza danneggiare la fovea. Attualmente il trattamento laser non è indicato per i criteri di ammissibilità ristretti, l’alto tasso di recidive, la presenza di uno scotoma permanente.
Terapia fotodinamica
La terapia fotodinamica (PDT) con verteporfina per la cura della CNV miopica è stata introdotta nel 2000 e ha rappresentato un notevole miglioramento nel trattamento della malattia, consentendo una migliore prognosi visiva nei pazienti miopi con CNV miopica subfoveale. La funzione della PDT è trattare la CNV subfoveale senza le complicazioni della fotocoagulazione laser, cioè senza il profondo scotoma che ne deriva. La PDT è utilizzata per occludere selettivamente la CNV minimizzando il danno alla retina neurosensoriale circostante. Questa tecnica si basa sull’attivazione attraverso la luce non termica della verteporfina, che viene somministrata per via endovenosa e si accumula in modo selettivo nella neovascolarizzazione. Il risultato finale è l’occlusione dei vasi della CNV.
Nuove frontiere per il trattamento della CNV miopica
Per la mCNV oggi sono disponibili nuovi tipologie di trattamento, tra cui la somministrazione intravitreale di farmaci anti-angiogenetici e angiostatici. Successivamente all’introduzione delle iniezioni intravitreali di anti-VEGF c’è stata un graduale abbandono della PDT, e si è introdotto un nuovo stile di gestione dei pazienti durante il follow-up. Molti pazienti trattati con agenti anti-VEGF hanno avuto infatti un miglioramento visivo, o quanto meno la stabilizzazione nel tempo, necessitando di un basso numero di trattamenti. Sulla base dei nuovi progressi scientifici il trattamento della mCNV con iniezioni intravitreali di farmaci anti-VEGF rappresenta la terapia prioritaria, consentendo un buon esito funzionale ed un basso numero di interventi.
Silvia Pasquetti
Ortottista ed Assistente Oftalmologica
Frequentatrice presso Centro Maculopatie, A.O. San Giovanni dell’Addolorata-Britannico, Roma.