FOCUS
Fibrosi polmonare idiopatica: quale ruolo per lo psicologo?
O. Passaquindici
Uno sguardo sulla malattia
La diagnosi viene effettuata tramite spirometria e TAC del torace che rileva aree fibrotiche lungo i margini della parete toracica che assomigliano ad alveari; in casi dubbi è possibile eseguire una broncoscopia e una biopsia bronco-polmonare.
Il trattamento deve essere effettuato in un Centro specialistico. Le terapie disponibili possono rallentare e stabilizzare la malattia ma non curarla; il trattamento farmacologico può associarsi a effetti collaterali quali diarrea, nausea, vomito, calo ponderale e fotosensibilità che a volte richiedono l’interruzione della terapia. In aggiunta ai farmaci, in uno stadio più avanzato della malattia, può essere necessario introdurre l’ossigenoterapia.
La vita nei pazienti con fibrosi idiopatica polmonare
I controlli medici prevedono esami del sangue regolari, spirometrie periodiche ogni 3-6 mesi, TAC ad alta risoluzione ed ecocardiografie a cadenza annuale.
La malattia da un punto di vista psicologico
L’iter per arrivare a una diagnosi corretta, essendo una malattia rara, è lungo e accompagnato da vissuti di confusione e angoscia; ci possono essere difficoltà a trovare un Centro specializzato e spesso questo comporta sentimenti di impotenza e vissuti di solitudine. La stessa comunicazione della diagnosi rappresenta una fase delicata per tutti gli attori coinvolti; comportamenti di negazione o regressivi sono frequenti e influenzano il processo di ascolto e di compliance al piano terapeutico.
Inoltre, questo momento può essere un ricordo che viene mantenuto nel tempo con un carico emotivo associato che richiede di essere narrato e rielaborato. Con la malattia ogni paziente e i suoi familiari devono creare un nuovo equilibrio di vita fronteggiando con resilienza la situazione; è necessario imparare ad accettare in modo attivo la realtà: lasciar scorrere ciò che non può essere arginato e trovare le risorse e le strategie per incanalare le energie in qualcosa di positivo, riconoscendo che non è il tempo che si ha a disposizione a fare la differenza, bensì quello che si fa nel tempo che si ha a disposizione.
Il malato perde sempre di più la sua autonomia e questo genera rabbia, ansia, vergogna e depressione con comportamenti di ritiro e isolamento che vanno riconosciuti e affrontati. Lo psicologo può aiutare anche a porsi domande esistenziali e trovare le rispettive risposte: ciò che ha un significato, quali sono i valori, se si vuole un nuovo equilibrio tra lavoro e vita privata, quali sono le attività che danno piacere o che fanno sentire di avere uno scopo, quale eredità si vuole lasciare ai propri cari, ecc. Oppure si possono affrontare i falsi miti come: sono un peso per i miei cari, chiedere aiuto è segno di debolezza, i miei cari dovrebbero sapere ciò di cui ho bisogno e farlo; o ancora, pensare che le persone non vorranno stare con me perché non si può agire come al solito.
Lo psicologo offre uno spazio per sé, un contenitore sicuro e non giudicante in cui è possibile narrarsi e ritrovare armonia tra il proprio mondo interno in connessione con quello esterno. Si tratta di promuovere, migliorare e sostenere l’adattamento alle diverse fasi della malattia. In questo anche il lavoro di gruppo è uno strumento importante per la condivisione dei vissuti e delle strategie riducendo il senso di isolamento.
L’associazione Un Respiro di Speranza Lombardia si occupa a 360° dei malati di IPF collaborando con strutture ospedaliere specializzate. Si lavora in equipe: medici pneumologi, psicoterapeuti, fisioterapisti, nutrizionisti e volontari. Il nostro impegno non è centrato solo sulla malattia, ma sulle persone e sulla loro qualità di vita per vivere il presente nel modo più completo e significativo.
Ottavia Passaquindici
Psicologa Clinica e Psicoterapeuta
Associazione Un Respiro di Speranza Lombardia
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