INTERVISTA
Intervista a Francesco Vaccaroni
Redazione On Medicine
Vigilanza su appropriatezza e qualità dell’assistenza farmaceutica erogata ai pazienti ricoverati; allestimento di “cocktail” nutrizionali e terapeutici; partecipazione attiva a commissioni e comitati ospedalieri; contrattazione e rispetto dei budget relativi all’acquisto di farmaci e di dispositivi medici. Sono solo alcuni dei compiti fondamentali del Farmacista ospedaliero, figura di spicco nella realtà sanitaria globale. Abbiamo intervistato il dottor Francesco Vaccaroni, professionista da poco ritiratosi dalla professione per sopraggiunti limiti di età, che nel corso di quarant’anni ha svolto la sua attività in strutture ospedaliere di diverse dimensioni.
Dottor Vaccaroni, come ha vissuto l'evoluzione della figura del Farmacista ospedaliero nel corso degli anni?
Cominciamo col dire che la figura del Farmacista ospedaliero è sempre esistita: pensiamo per esempio all’Ospedale Maggiore di Milano che già nel ‘500 prevedeva una figura addetta alla coltivazione e alla raccolta, nei cosiddetti “giardini dei semplici” presenti all’interno dell’ospedale, delle piante medicinali da cui venivano estratti i principi attivi che, opportunamente trattati, conservati e manipolati dalle mani esperte dello Speziale (l’antenato del moderno Farmacista), costituivano la base della Farmacopea di allora per la cura delle malattie, in analogia con i moderni farmaci attualmente a nostra disposizione. Arrivando ai giorni nostri, a partire dal dopoguerra la legge ha sancito che negli ospedali, soprattutto se di grandi dimensioni, fosse presente la figura del Farmacista ospedaliero con un ruolo fondamentale di controllo, sia sanitario sia amministrativo, sui farmaci e sui dispositivi medici utilizzati nei diversi reparti.
Un nuovo capitolo nella professione è iniziato alla fine degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, grazie alla collaborazione con Università e istituti prestigiosi quali il Mario Negri, attraverso la creazione dei prontuari farmaceutici; poiché in quel momento stava aumentando esponenzialmente la quantità di farmaci in commercio, il Farmacista si impegnava nel ruolo di garante dei principi attivi di comprovata efficacia clinica operando insieme ai Medici, in apposite commissioni, selezionando i farmaci che dovevano essere presenti in ospedale in modo da ottimizzare le risorse economiche e privilegiando le terapie di maggior efficacia. Questo ruolo cardine iniziale, come garante del protocollo terapeutico, rappresenta ancora oggi la funzione principale del Farmacista ospedaliero.
Come è cambiata la professione con l’avvento di farmaci sempre più targettizzati alle diverse patologie?
Il Farmacista è diventato una specie di “tuttologo” in grado di affiancare il Medico non tanto al letto del paziente, quanto nell’operare scelte strategiche per poter garantire sempre la migliore qualità possibile dell’assistenza al malato. A questo nuovo ruolo ha contribuito la creazione delle prime scuole di specializzazione in Farmacologia clinica; io sono uno dei primi a essersi specializzato in questa disciplina, che ha affiancato alla figura del Medico farmacologo clinico, operante nella nicchia ristretta della ricerca, quella del Farmacista farmacologo clinico, che ha il ruolo di supportare il Medico nelle scelte terapeutiche. In seguito, sono state poi istituite le scuole di specializzazione in Farmacia Ospedaliera che hanno inglobato le precedenti e che sono alla base della professione. Oggi per poter intraprendere la carriera di Farmacista Ospedaliero occorre essere in possesso, oltre che della laurea quinquennale in Farmacia, anche della specializzazione in Farmacia Ospedaliera della durata di quattro anni.
Nel corso della sua carriera ha assistito a una metamorfosi del Servizio Sanitario Nazionale?
Diciamo che con gli anni si è osservata una maggior concentrazione delle strutture. Sono partito come direttore della Farmacia di un ospedale di neanche 100 letti e ho finito in una struttura, quella di Vimercate, che ne contava più di 2000 come conseguenza della sommatoria di diversi ospedali che erano stati accorpati sia dal punto di vista amministrativo sia da quello della direzione della Farmacia per ottimizzare i processi di acquisto e distribuzione.
Questo progressivo accentramento ha influito sulla qualità del lavoro?
A sentire quello che dicono i miei colleghi ancora in attività, direi che si sono ancora di più appesantite quelle attività burocratiche che nessuno vorrebbe accollarsi ma che sono necessarie e indispensabili per il buon governo della sanità pubblica, che quindi ricadono principalmente sulla figura della catena sanitaria con le maggiori competenze e che, pur non essendo presente accanto al paziente, riveste un ruolo centrale di collegamento, appunto quella del Farmacista. Va però detto che nella Farmacia ospedaliera opera una squadra di professionisti, ciascuno dei quali ha un suo ruolo definito nell’ambito delle diverse attività da espletare, e quella burocratica non è per fortuna la sola.
C’è un aspetto dell’attività del Farmacista ospedaliero che impatta più di altri sull’assistenza al paziente?
Un aspetto che ha rivoluzionato questa figura è sicuramente quello di Farmacista preparatore, ruolo che sembra confinato al passato ma è invece da sempre proiettato al futuro. Un primo esempio di Farmacista preparatore avanzato si è avuto con la preparazione dei “cocktail” per la nutrizione parenterale finalizzati a fornire un supporto nutrizionale completo ai pazienti che per vari motivi non si possono alimentare, con l'esigenza di creare dei preparati in maniera sterile e bilanciata. All'inizio queste preparazioni erano prescritte dal Medico, poi grazie al contributo del Farmacista preparatore si è proceduto all’elaborazione di preparazioni standard adatte a diverse patologie e quadri clinici. Con il tempo l’industria ha fornito preparati già pronti e l'interesse del Farmacista in questa area è venuto man mano a calare per essere sostituito da un'attività ancora più importante, nell'ambito dell’oncologia medica. I farmaci oncologici sono notoriamente farmaci che hanno una loro tossicità per il personale che li manipola; osservazioni pubblicate negli anni ’90 hanno evidenziato che il personale che in reparto manipolava e inalava queste soluzioni infusionali andava incontro in percentuale significativa a malattie tumorali. L’allestimento di questi preparati è stato quindi centralizzato nella Farmacia ospedaliera in laboratori opportunamente attrezzati, le cosiddette “camere bianche”.
Qual è stata un’esperienza importante che ha vissuto nella sua carriera?
Negli anni ’80 ho ottenuto una borsa di studio per l'estero e sono andato a Barcellona dove esisteva una realtà più avanzata che da noi, quella della dose unitaria. In pratica, la Farmacia ospedaliera riceveva le prescrizioni per tutti i pazienti ospedalizzati e faceva pervenire ai reparti anziché le confezioni dei farmaci prescritti, le singole dosi suddivise per paziente. L’informatizzazione e la robotica hanno oggi consentito di estendere questa pratica alla maggior parte delle strutture di nuova concezione grazie anche ad aziende che si occupano specificamente del confezionamento delle dosi unitarie; l’infermiere di reparto ha così a disposizione più volte al giorno un carrello con le dosi già personalizzate per ogni singolo paziente, con un abbattimento degli errori (e dei furti), la tutela della sterilità e un indiscutibile vantaggio per l’economia dell’ospedale.
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