On Medicine

Anno XVIII, Numero 3 - settembre 2024

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IL PARERE DELLO SPECIALISTA

Mirror therapy: ciò che vedo è ciò che sento?

Gastaldelli A

La terapia dello specchio, o mirror therapy, nasce come terapia per la sindrome dell’arto fantasma. Questo fenomeno doloroso ha una origine particolare: nell’amputato lo schema corporeo, ovvero la mappatura propriocettiva del corpo interiorizzata durante la vita e memorizzata in diverse aree corticali, rimane integro anche dopo la perdita dell’arto o di una sua parte. I pazienti spesso riferiscono dolori o sensazioni sgradevoli provenienti dall’area amputata. Queste impressioni sono il risultato di un fenomeno maladattativo centrale dovuto all’assenza dell’arto e di informazioni propriocettive provenienti da esso.

Qui entra in gioco la mirror therapy. Grazie ad uno specchio posizionato su un asse di simmetria, è possibile sovrapporre l’immagine riflessa dell’arto sano su quello amputato e dolente.

La visione dell’arto completo, così come la possibilità di vederlo in azione, allevia i sintomi dell’arto fantasma, pur trattandosi di una illusione.

Da questo esempio è possibile comprendere come questo tipo di trattamento abbia suscitato in me interesse e abbia avuto modo di sperimentarlo anche su altre patologie. Basta controllare le revisioni sistematiche e le metanalisi in letteratura per comprenderne le possibilità di utilizzo, soprattutto nella riabilitazione dell’arto superiore e della manualità nei pazienti con emiparesi.

Questo tipo di trattamento è associato a percorsi riabilitativi con l’obiettivo di migliorare la sensibilità propriocettiva, esterocettiva e l’integrazione dell’arto paretico nello schema motorio.

Come? Giocando!

Infatti, durante le sedute di mirror therapy, il paziente utilizza lo specchio per riflettere sull’arto paretico l’arto sano. Il terapista stimola con tocchi contemporanei entrambe le mani, a volte in modo simmetrico, altre volte in modo errato. Al paziente viene richiesto di capire quando ciò avviene e di riconoscere le differenze tra un tocco e l’altro. La domanda ricorrente che faccio ai miei pazienti è “ciò che vedi è ciò che senti?”. Dai tocchi si passa a movimenti passivi, da questi a movimenti attivi sempre più complessi, fino a vere e proprie simulazioni di gesti della vita quotidiana come prendere un bicchiere, una posata, una penna. Chiaramente la difficoltà degli esercizi deve essere calibrata in base alle capacità residue del paziente e impegnativa al punto giusto, senza sfociare nella frustrazione o nell’eccessiva semplicità.

La mirror therapy si è dimostrata, sia per personale esperienza che in letteratura, un valido approccio in mano al terapista che può sbizzarrirsi nell’inventare esercizi su misura in base alle esigenze e agli obiettivi stabiliti con il paziente. Oltre a non avere controindicazioni particolari, può essere associata ad altre terapie e diventare autotrattamento, nei pazienti più predisposti, per mantenere gli effetti del percorso riabilitativo.


Alessandro Gastaldelli
Fisioterapista, Milano