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Quaderni di Risonanza Magnetica. Innovazione tecnologica ed impatto clinico in RM body: un estratto
Redazione On Medicine
È stato recentemente pubblicato il libro “Quaderni di Risonanza Magnetica: innovazione tecnologica ed impatto clinico in RM body” curato dalla sezione di Risonanza Magnetica della SIRM e presentato in occasione del congresso della Società tenutosi il 6-7 dicembre 2017 ad Ancona.
Nelle intenzioni dei primi Autori, Luigi Grazioli e Stefano Colagrande, questo testo rappresenta il primo di una serie di pubblicazioni che si propongono come mezzi rapidi, economici ed efficaci per diffondere conoscenze teoriche, tecniche e cliniche finalizzate a cercare di ottenere l’esame più idoneo per il paziente, nel più breve tempo possibile e con la minima invasività.
Lo scopo di questo mezzo divulgativo è quello di permettere al Radiologo, attraverso una didattica quanto più diffusa e capillare, di conoscere sempre meglio gli aspetti tecnico-metodologici della RM e le potenzialità di queste apparecchiature, a netto vantaggio del paziente, in quanto questo permetterà di ottimizzare il percorso diagnostico evitando l’utilizzo inappropriato delle altre Metodiche di Imaging.
La pubblicazione prevede un’introduzione eminentemente teorico-tecnica, dedicata anche alle problematiche inerenti i mezzi di contrasto e la sicurezza, cui segue una seconda parte che approfondisce “la ricaduta” pratica e clinica in ambito addominale degli avanzamenti tecnologici precedentemente trattati.
Proprio questa parte, a nostro avviso, può rappresentare un focus stimolante per il medico, specialista e non, in quanto tratta di tematiche di interesse per la pratica medica come l’impatto della RM in ambito clinico e la valutazione della risposta terapeutica, elemento fondamentale nell’iter diagnostico-terapeutico di molti pazienti.
Vi proponiamo pertanto un breve estratto di questa seconda parte, dal capitolo “Risposta alla terapia” curato da Daniele Regge, del Dipartimento di Scienze Chirurgiche dell’Università degli studi di Torino, e da Giovanni Cappello, dell’Unità di Radiodiagnostica dell’Istituto di Candiolo, FPO-IRCCs, Torino.
Ringraziamo gli Autori per averci offerto l’opportunità di condividere con i nostri lettori questi contenuti e vi auguriamo buona lettura.
La valutazione della risposta alla terapia rappresenta una fase fondamentale nel percorso terapeutico del paziente in quanto consente di stabilire se uno specifico trattamento medico è stato efficace. Nei trial oncologici l’indicatore più importante e accurato dell’efficacia di un farmaco è il tempo di sopravvivenza del malato. Purtroppo, per individuare differenze statisticamente significative nella sopravvivenza, i tempi di follow-up e di conseguenza i costi della gestione del malato sono elevati e difficilmente sostenibili dalle aziende farmacologiche e dagli Istituti di Ricerca. Per ridurre il tempo di valutazione di un farmaco vengono quindi utilizzati indagini di diagnostica per immagini e test di laboratorio in grado di fornire misure surrogate della sopravvivenza globale.
La risposta radiologica a un determinato farmaco e la conseguente variazione del carico tumorale complessivo possono essere utilizzati come end-point surrogati solamente se basati sull’utilizzo di criteri di valutazione standard, ampiamente accettati e facilmente applicabili.
Nel 1981, la World Health Organization (WHO) ha pubblicato per la prima volta i criteri radiologici di valutazione della risposta, basati sulla misura dei diametri del tumore, proponendo la loro applicazione principalmente nei trial clinici. L’effetto citotossico degli agenti chemioterapici tradizionali determina, in caso di risposta, una riduzione dimensionale dettata dall’involuzione delle lesioni evolutive, che può essere facilmente monitorata mediante l’imaging radiologico (TC ed RM in primis). Tuttavia, con l’avvento dei nuovi trattamenti antitumorali (terapia immunologica, antiangiogenica, antiormonale, antimetabolica) sono stati introdotti nuovi farmaci con differente meccanismo d’azione, in cui i classici effetti citotossici e citostatici vengono rilevati solamente in circa il 20% dei casi. In questo caso la presenza di differenti e insolite modalità di risposta alla terapia può sottostimare la risposta alla terapia stessa, soprattutto nella fase precoce, se vengono applicati criteri basati solamente su informazioni dimensionali. Inoltre, a seguito di multiple linee chemioterapiche, le lesioni possono evolvere genotipicamente in diversi cloni, ciascuno con caratteristiche fenotipiche diverse: alcuni possono continuare a rispondere, mentre altri possono andare incontro a progressione. Questo tipo di risposta mista non può essere valutata adeguatamente con i criteri di risposta convenzionali. Per tale motivo, sono stati sviluppati nuovi criteri di valutazione della risposta in conformità a nuovi parametri metabolici e funzionali.
I criteri di valutazione della risposta
- Risposta Completa (CR): scomparsa di tutte le lesioni target. L’asse corto dei linfonodi dovrà essere <10 mm.
- Risposta Parziale (PR): riduzione di almeno il 30% della SOD delle lesioni target con riferimento alla baseline.
- Progressione di Malattia (PD): incremento di almeno il 20% della SOD delle lesioni target rispetto all’indagine in cui la SOD presentava il valore più basso (nadir) o comparsa di nuove lesioni.
- Malattia Stabile (SD): riduzione insufficiente (rispetto al baseline) per essere classificata come risposta parziale oppure incremento insufficiente (rispetto alla SOD del nadir) per identificare una progressione di malattia.
Come sopra accennato, l’introduzione di farmaci antitumorali con differente meccanismo d’azione ha messo in luce alcune rilevanti limitazioni nell’utilizzo dei criteri di risposta alla terapia che abbiano come cardine la sola riduzione dimensionale delle lesioni evolutive.
A differenza dei chemioterapici citotossici e citostatici, le nuove terapie antitumorali e molte procedure interventistiche, inducono necrosi tumorale senza una significativa riduzione dimensionale. Si è pertanto resa necessaria l’introduzione di nuovi criteri che prendessero in considerazione, oltre alla classica variazione del diametro totale delle lesioni, altri parametri anatomici e funzionali capaci di rappresentare con maggiore precisione le modificazioni vascolari e metaboliche delle lesioni tumorali che fossero evidenziabili con TC, RM o PET. Ad esempio, l’utilizzo dell’imatinib – un inibitore della tirosinchinasi – nella cura dei tumori stromali gastrointestinali (GIST) ha completamente cambiato la storia naturale di questa malattia. Con l’impiego di questa terapia target, il GIST solitamente non riduce le sue dimensioni, mentre può presentare una riduzione della densità tumorale, misurabile con il coefficiente di attenuazione TC (HU). Per tale motivo, nel 2007, Choi e collaboratori hanno introdotto un nuovo criterio di valutazione della risposta, che prende in considerazione non solo un’eventuale riduzione dimensionaledelle lesioni, ma anche i loro cambiamenti di densità all’esame TC in fase portale. Analogamente, le nuove terapie target e i trattamenti percutanei del carcinoma epatocellulare (HCC) possono provocare una necrosi tumorale alla quale spesso si associa un incremento delle dimensioni della neoplasia. Per tale motivo, si è ritenuto opportuno introdurre nuovi criteri adatti alla valutazione dell’efficacia della terapia nei pazienti affetti da HCC, gli mRECIST. Questi criteri prendono in considerazione per la misura bidimensionale il solo enhancement intra-lesionale valutato in fase arteriosa, rappresentante il tessuto vitale residuo, escludendo le eventuali aree necrotiche. Infine, sempre più spesso per la terapia oncologica sono utilizzati farmaci immunomodulatori.
Il meccanismo d’azione di questi farmaci è basato sia sul blocco delle vie d’inibizione del sistema immunitario sia sull’attivazione della risposta immunologica e in particolare delle cellule T, che vanno ad aggredire e infiltrare il tumore. Talvolta ne consegue un iniziale incremento del carico tumorale totale anche nei casi di risposta al trattamento definito pseudoprogressione.
Inoltre, la comparsa di nuove lesioni durante le fasi iniziali del trattamento può essere imputata all’infiltrazione da parte dei linfociti T di piccole metastasi non identificabili all’esame TC basale e non deve pertanto essere considerata una progressione di malattia. Per adeguare la valutazione della risposta al comportamento dei farmaci immunoterapici nel 2017 sono stati proposti nuovi criteri di valutazione definiti immuno-RECIST (i-RECIST).”
A cura della Redazione
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