INTERVISTA
Intervista al Professor Francesco Saverio Dioguardi
Redazione On Medicine
Nella sezione Focus di questo numero vi abbiamo parlato di un importante studio realizzato da un team di ricercatori tutto italiano, pubblicato nel maggio 2017 da una delle più prestigiose riviste internazionali di Biochimica e Biologia molecolare (The FEBS Journal).1 Questo lavoro ha destato grande interesse perché ha in qualche modo aperto le porte a un nuovo modo di guardare alla biologia del cancro e al suo trattamento, rappresentando il primo passo verso la possibilità di un nuovo approccio alla terapia dei tumori.
Ne abbiamo voluto parlare più nel dettaglio con uno degli Autori principali, il Professor Francesco Saverio Dioguardi, associato e titolare della Cattedra di Nutrizione Clinica del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Milano, considerato una delle massime autorità a livello internazionale nello studio del metabolismo e delle terapie nutrizionali, autore di numerosi brevetti nell’ambito delle miscele di aminoacidi e cultore della biochimica.
Professor Dioguardi, Lei è tra i principali Autori dello studio pubblicato su FEBS che ha preso in esame il rapporto tra cellula tumorale e ambiente esterno, spiegando il modo in cui quest’ultimo può influenzare lo sviluppo del cancro. Può spiegarci perché, dal Suo punto di vista, questo studio è tanto importante?
Questo lavoro è importante innanzitutto perché è stato il primo a focalizzarsi su una problematica mai affrontata in precedenza. Finora la ricerca in campo oncologico aveva cercato di comprendere in che modo il tumore produca energia così da individuare strategie terapeutiche che potessero interferire con questo processo e, quindi, con lo sviluppo del cancro. Il tumore produce energia primariamente (anche se non esclusivamente) facendo glicolisi nel citoplasma (nello specifico quella che comunemente viene chiamata glicolisi anaerobica) quindi buona parte della ricerca sulla fisiologia del tumore si è focalizzata su questo meccanismo.
Noi abbiamo affrontato il problema sotto un’ottica totalmente diversa, cioè partendo dall’ipotesi che la cellula tumorale, derivando da una cellula sana, obbedisca alle sue stesse regole ancestrali di sopravvivenza e quindi abbia le medesime necessità della cellula da cui deriva, richiedendo lo stesso materiale per sopravvivere e duplicare. In particolare ciò su cui abbiamo concentrato la nostra attenzione è l’ambiente in cui vive la cellula tumorale e il modo in cui gli aminoacidi forniscano alla cellula dei messaggi che ne influenzino la vita o la morte.
Un razionale scientifico completamente diverso. Come siete arrivati a questa ipotesi?
Ogni ricerca scientifica ben fatta nasce da ipotesi. Io mi considero fortunato perché ho trovato un team di persone che ha voluto ascoltare le mie ipotesi e le ha volute mettere alla prova insieme a me.
Diciamo che il percorso che ha portato al risultato di oggi sul FEBS Journal ha avuto inizio con un primo studio condotto all’Università dell’Aquila con il Professor Vincenzo Flati.1 Avevamo già osservato che gli aminoacidi essenziali erano estremamente efficaci nell’aumentare la produzione energetica della cellula del miocardio anche in pazienti con grave insufficienza cardiaca, quindi volevamo verificare se questi stessi aminoacidi potessero proteggere i malati oncologici dal danno cardiaco da chemioterapici. Lo abbiamo dimostrato, in vitro e in vivo, ma a quel punto ci siamo posti il dubbio che questo effetto protettivo potesse in qualche modo comportare un vantaggio per la cellula tumorale, perché naturalmente non volevamo la responsabilità di proteggere le cellule dall’effetto del chemioterapico avvantaggiando dall’altra parte il tumore e nutrendolo in maniera favorevole.
La sorpresa che abbiamo avuto è stata, al contrario, che il somministrare gli aminoacidi insieme al chemioterapico aumentava notevolmente l’efficienza del trattamento sulle cellule tumorali. Il passaggio successivo, e direi naturale, è stato allora domandarsi se gli aminoacidi essenziali avessero un qualche effetto sulle cellule tumorali.
Perché proprio gli aminoacidi essenziali?
Gli aminoacidi sono macronutrienti importantissimi nel metabolismo umano, necessari alla cellula per sintetizzare e duplicare. Questo vale per la cellula sana, ma anche la cellula tumorale deve sintetizzare proteine e lipidi per replicarsi e crescere. Quindi il nostro presupposto era che anche il tumore potesse essere influenzato dalla qualità dei nutrienti introdotti. Perciò abbiamo studiato l’efficienza del tumore variando la “qualità” di aminoacidi introdotti, distinguendoli in “essenziali” e “non essenziali”.
Questa distinzione è molto importante: gli aminoacidi essenziali sono quelli che siamo costretti a introdurre perché non siamo in grado di sintetizzarne quantità sufficienti, quelli non essenziali sono derivabili dai primi, e sono particolarmente abbondanti nei cibi che introduciamo. Essi rappresentano la varietà di aminoacidi più presente nelle proteine dei mammiferi.
Bene, per prima cosa modificando l’alimentazione dei topi abbiamo variato la qualità degli aminoacidi introdotti e così osservato che somministrare soltanto aminoacidi essenziali aumentava notevolmente la durata di vita dell’animale. Al contrario, se l’animale assumeva solo aminoacidi non essenziali sopravviveva soltanto 2-3 settimane, in base alle dimensioni e all’età del soggetto.
La prima cosa che ci siamo chiesti è stata dunque: “quindi il tumore si nutre di aminoacidi essenziali o di non essenziali?”.
Sembrerebbe di aminoacidi essenziali.
Sembrerebbe così, ma in realtà abbiamo osservato che le cose non stanno per niente in questi termini.
Innanzitutto bisogna tenere presente che quantità e qualità del nutrimento presente nell’ambiente condizionano molto lo sviluppo di una cellula tumorale. È un meccanismo di controllo arcaico e insito nel DNA, già presente probabilmente nella prima cellula originatasi dalla fusione di ovocita e spermatozoo e che tende a non perdersi con la differenziazione.
La cellula neoplastica, quindi, non può ignorare questo controllo in quanto deriva da una cellula sana, anche se è andata incontro a “sdifferenziazione”, processo che ha comportato la perdita della capacità di svolgere tutta una serie di attività dispendiose (tra cui la capacità di produrre aminoacidi non essenziali dagli essenziali) al fine di mantenere soltanto quanto strettamente necessario per la replicazione ma aumentando la efficienza competitiva con le cellule sane. In questo modo la cellula tumorale risparmia energia ma, abbiamo scoperto, può sopravvivere solo in un ambiente estremamente ristretto e limitato in termini di concentrazioni di aminoacidi essenziali e non essenziali.
Per far meglio comprendere questo concetto faccio un esempio pratico. Immaginiamo la cellula tumorale come una macchina da corsa. La macchina da corsa, una “Formula 1”, è fatta per correre il più veloce possibile in un circuito e per farlo al meglio ha eliminato tutto quanto non necessario (aria condizionata, imbottitura dei sedili ecc.) in modo da poter essere leggera e veloce sulla pista. Ma questa stessa macchina, proprio per le sue caratteristiche, non sarebbe in grado di sopravvivere facilmente fuori da un circuito, non sarebbe in grado per esempio di stare in coda in città, o di percorrere un viottolo di campagna pieno di buche e sassi. Analogamente, la cellula tumorale è specificatamente efficiente a fare una certa cosa, cioè sopravvivere in un ambiente in cui ci si sia una prevalenza di aminoacidi non essenziali rispetto agli essenziali. Pertanto quello che apparentemente parrebbe essere un vantaggio del tumore è in verità una debolezza.
Il lavoro pubblicato su FEBS ha dimostrato che gli aminoacidi essenziali hanno un effetto sulla cellula tumorale, ma hanno anche spiegato come questo avvenga?
Certo non del tutto, ce ne mancano i mezzi, ma sì, nel nostro lavoro abbiamo individuato e descritto in parte questi meccanismi.
Sappiamo che una cellula sana si rinnova regolarmente degradando le proteine vecchie e sintetizzandone di nuove. In questo processo utilizza strumenti differenti, tra i quali l’autofagia e il sistema della ubiquitina/proteasoma. Insieme essi permettono l’attività di ”proteostasi”, che ripulisce le cellule dalle strutture non più efficienti.
L’autofagia è stata descritta per la prima volta in modo completo non più di 10 anni fa, è un processo sempre attivo, che permette di riconoscere le proteine (ma non solo, anche strutture più grosse come i mitocondri) più vecchie e meno efficienti ed eliminarle, così da permettere la sintesi di proteine nuove e più efficienti. Il sistema ubiquitina/proteasoma invece, il cui funzionamento tuttora non è completamente caratterizzato, è un meccanismo molto mirato che non solo decide dell’eliminazione delle proteine ma anche del DNA e degli RNA, influenzando l’attuazione del controllo del genoma sulla cellula. Il sistema ubiquitina/proteasoma decide per esempio che enzimi devono essere presenti, oltre a veicolare le proteine che non vengono più utilizzate riducendo le dimensioni della cellula e facilitandone la sopravvivenza.
Autofagia e proteolisi ubiquitino-mediata sono processi spesso attivi in parallelo e che dialogano fra di loro, ma potenzialmente del tutto indipendenti fra di loro. Come abbiamo dimostrato, un sistema identifica cosa non serva più, sia meno utilizzato o più vecchio, l’altro è specifico nel mantenere al massimo dell’efficienza ciò che viene costruito dalla cellula, creando spazio ed eliminando ciò che è meno efficiente. Nel nostro lavoro abbiamo visto che gli aminoacidi essenziali agiscono sulla cellula tumorale bloccando la proteolisi-ubiquitino-dipendente e iper-attivando l’autofagia. Quest’ultimo processo in particolare era ritenuto impossibile da attuare.
Questo è molto importante, perché quando la cellula tumorale rileva nell’ambiente la presenza di molti aminoacidi essenziali risponde a questo stimolo promuovendo la sintesi, e quindi facilitando il processo di duplicazione. Questo processo non può più essere arrestato una volta avviato. Dunque la cellula inizia a sintetizzare tutte le proteine necessarie alla sopravvivenza della cellula figlia così come della madre, ma nel momento in cui non trova aminoacidi non essenziali nell’ambiente circostante (e non essendo in grado di crearseli da sola) attiva l’autofagia, cercando di eliminare tutte le proteine che può sacrificare per produrre gli aminoacidi di cui è carente per completare le sintesi. L’insieme di questi due processi, la duplicazione e l’autofagia, portano alla creazione di due cellule incomplete, destinate a morire.
E questo in che tipo di cellule tumorali lo avete osservato?
Noi abbiamo riportato i dati relativi al carcinoma del colon, ma il bello di questo fenomeno è che abbiamo osservato lo stesso tipo di meccanismi in altri tipi diversi di carcinoma: della mammella, della prostata e nel melanoma. Quello che possiamo inoltre dire è che tanto maggiore è la velocità di duplicazione del tumore tanto più velocemente le cellule andranno incontro a morte sulla base di questo meccanismo indotto dalla prevalenza di aminoacidi essenziali. Non conosciamo questi meccanismi in modo completo, vorremmo poterli studiare ma non ne abbiamo i mezzi per ora, però è la prima volta che abbiamo stabilito come il tumore sia in grado di sopravvivere soltanto in un ambiente estremamente ristretto e modificabile in sicurezza per il paziente.
Quali ritiene saranno le applicazioni di questa scoperta?
Noi riteniamo che il primo passo di applicazione in umano sarà l’uso nella protezione del cuore e del rene nei pazienti che fanno chemioterapia, sicuri del fatto che non soltanto questo non farà male ai pazienti, ma che li proteggerà anche dal danno da chemioterapici e nello stesso tempo aumenterà l’efficienza del chemioterapico.
Perché questi meccanismi aumenteranno l’efficienza del chemioterapico?
Perché gli aminoacidi essenziali impediscono alcune mutazioni che normalmente la cellula neoplastica tende ad attuare per bloccare l’efficienza del chemioterapico nel portare a morte la cellula. Disponiamo di alcuni dati sull’equilibrio fra proteine pro- e anti-apoptosi (suicidio cellulare) che speriamo di riuscire a pubblicare presto, che ci permetteranno probabilmente di dimostrare che quello che si verifica non è soltanto un aumento di efficienza e sensibilità al chemioterapico, ma forse anche un aumento di efficienza e sensibilità alla radiazione: gli aminoacidi essenziali impediscono le modificazioni anti-suicidio cellulare che permettono al tumore di sfuggire all’effetto dei chemioterapici o dell’irradiazione.
Questo studio può aprire le porte a grandi cambiamenti nel campo del trattamento del tumore.
Sì, forse un giorno i pazienti oncologici verranno trattati eliminando completamente le proteine dall’alimentazione, si nutriranno con alimenti creati ad hoc e unicamente con aminoacidi essenziali a dosaggi estremamente elevati (30-40 g al giorno) in maniera tale che gli aminoacidi essenziali potranno prendere il controllo della cellula tumorale rendendola più sensibile ai chemioterapici, o quantomeno influenzando la velocità di sviluppo del tumore. Allo stato attuale l’unica cosa che sappiamo, che abbiamo visto nelle nostre ricerche su animale, è che questo tipo di strategia abolisce il numero delle metastasi osservabili a parità di tempo di osservazione. È però uno studio fatto su numeri estremamente piccoli e al momento non sappiamo se e quando potremo continuare con questa ricerca perché ci mancano le risorse per farlo.
Senza dubbio il vostro lavoro apre scenari di ricerca nuovi e offre nuove possibilità ai pazienti oncologici. Quale sarà ora il passo successivo?
Ci stiamo muovendo per poter portare la nostra ricerca su un piano più avanzato e sperimentare le nostre ipotesi in umano e in animale. La nostra ricerca è l’ennesima prova che i dati in vitro e quelli in vivo siano due cose molto lontane fra di loro. Però in questo contesto per poter disporre di dati concreti e validi è necessario arruolare numerosi pazienti e seguirli per diversi anni. Questo è molto difficile e costosissimo da fare, perciò la nostra idea ora è quella di fare uno studio di tolleranza del chemioterapico di breve termine, della durata di 3 mesi, che abbia come obiettivo primario la valutazione dell’efficacia protettiva di questo approccio sul danno cardiaco e renale, ponendoci poi come endpoint secondario la valutazione della risposta alla chemioterapia.
Oltre agli ostacoli prettamente legati alla realizzazione di uno studio clinico, inoltre, c’è da aggiungere che non è facile capire i meccanismi che portano a morte cellulare, perché ce ne sono diversi tipi. Per questo scopo lo studio dell’animale è indispensabile. L’apoptosi o il controllo delle metastasi, per esempio, sono meccanismi che già di per loro hanno diverse possibili origini. Ci rendiamo conto che quello che stiamo scoprendo a volte è molto diverso da quanto avevamo ipotizzato e derivabile dalle pubblicazioni precedenti, ma per comprendere questi meccanismi è peraltro necessario disporre di una solida preparazione nel campo della biologia molecolare, certamente non alla portata di tutti. Il nostro lavoro è sicuramente destinato a pochi esperti in questo campo, perché caratterizzato da una certa complessità, ma se ben interpretato può aprire nuovi scenari di studio e offrire grandi prospettive ai malati oncologici.
Bibliografia
- Bonfili L, Cecarini V, Cuccioloni M, Angeletti M, Flati V, Corsetti G, Pasini E, Dioguardi FS, Eleuteri AM.Essential amino acid mixtures drive cancer cells to apoptosis through proteasome inhibition and autophagy activation. FEBS J. 2017 Jun;284(11):1726-1737. doi: 10.1111/febs.14081. Epub 2017 May 11.PMID: 28391610
- Flati V, Corsetti G, Pasini E, Rufo A, Romano C, Dioguardi FS1. Nutrition, Nitrogen Requirements, Exercise and Chemotherapy-Induced Toxicity in Cancer Patients. A puzzle of Contrasting Truths? Anticancer Agents Med Chem. 2016;16(1):89-100.
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