IL PARERE DELLO SPECIALISTA
Strategie di “Sound Therapy” nella gestione del paziente con acufeni
D. Cuda, A.R. De Caria, M. Monici, V. Mirarchi
Introduzione
L’acufene soggettivo è la forma più comune di rappresentazione del sintomo e viene percepito solo dal soggetto interessato in assenza di qualsiasi stimolo sonoro reale prodotto sia all’interno sia all’esterno del corpo. Varia molto nei singoli individui per frequenza e intensità e può essere innescato dal rumore (ascolto della musica ad alto volume, utilizzo di armi da fuoco, lavoro in ambiente rumoroso ecc.), dall’utilizzo di alcuni farmaci (chemioterapici, acido acetilsalicilico, aminoglicosidi, diuretici come la furosemide e l’acido etacrinico) e da qualsiasi fenomeno patologico (otiti, otosclerosi, malattia di Méniere, senescenza del sistema uditivo ecc.) che interessa l’orecchio.
Nella maggioranza dei casi l’acufene è associato a ipoacusia, anche limitata solo a poche frequenze. Nei soggetti normoacusici l’insorgenza degli acufeni spesso assume valenze psicologiche; non rara la personalità francamente ansiosa o depressiva di questi pazienti.
In alcune persone, all’acufene si associa iperacusia che si manifesta come un disagio all’ascolto di stimoli sonori d’intensità moderatamente elevata. Il disturbo del sonno, riconducibile nella maggior parte dei casi alla difficoltà di addormentarsi a causa della sensazione sonora e dell’ansia associata, costituisce uno dei riscontri più frequenti nei soggetti con acufene invalidante.
Alcuni pazienti riferiscono anche una riduzione della capacità uditiva e della discriminazione verbale causata dal volume dell’acufene. Nella realtà è l’ipoacusia di cui sono affetti la causa di tale difficoltà.
Altri disagi che i pazienti lamentano, riferibili prevalentemente all’umore depresso, riguardano l’alterazione dell’attenzione, della concentrazione e più in generale la scadente qualità di vita. La differenza tra la semplice percezione dell’acufene e l’essere afflitto da esso risiede esclusivamente nell’attivazione del sistema limbico che assume un ruolo determinante nel disturbo legato alla percezione del sintomo: più saranno le associazioni emozionali prodotte dal sistema limbico maggiori saranno i disagi determinati dalla percezione dell’acufene.
EPIDEMIOLOGIA
Anche se la maggior parte dei soggetti colpiti tende a “convivere” col sintomo e a non ricorrere quindi all’aiuto del medico, circa l’1-2% dei soggetti interessati subisce un non trascurabile impatto sulla qualità della vita manifestando disturbi debilitanti come depressione, ansia, frustrazione e insonnia.
EZIOLOGIA
In uno studio su una popolazione di 149 pazienti con acufene invalidante, la diagnosi che maggiormente è associata agli acufeni è la tecnoacusia ovvero l’eccessiva esposizione a rumori (14,9%) seguita dalla presbiacusia (12,8%) e dall’otosclerosi (5,7%) generalmente a evoluzione cocleare con prevalenza dell’ipoacusia neurosensoriale.
L’acufene spesso si manifesta nel corso della Malattia di Ménière (1,4%) e, frequentemente, è uno dei primi sintomi ad apparire nel neurinoma dell’acustico, nell’astrocitoma e nella neurofibromatosi di tipo II. Altre cause includono stadi iniziali di idrope endolinfatico (acufene fluttuante), otiti medie, meningite e altre infezioni o processi infiammatori a carico dell’apparato uditivo. L’acufene rappresenta anche uno degli effetti collaterali di alcuni farmaci come i salicilati, gli antinfiammatori non steroidei, gli antibiotici aminoglicosidi, i diuretici dell’ansa e i chemioterapici (cisplatino e vincristina).3
Disfunzioni della ATM e altri disordini dentali (malocclusione) possono aggravare la percezione del sintomo e, raramente, provocarne l’insorgenza.
Secondo uno studio australiano “Risk factors for Tinnitus in a population of older adults”4 condotto nel 2003 su 2015 persone in età superiore ai 55 anni, le infezioni dell’orecchio medio, le sinusiti e i traumi cranici figurano tra i maggiori fattori di rischio di acufeni, a fianco del rumore sul luogo del lavoro che resta, comunque, il fattore di rischio più importante. Nei soggetti che soffrono di emicrania, il rischio di insorgenza di acufeni aumenta del 28%.
STRATEGIE TERAPEUTICHE
Al primo gruppo appartiene la farmacoterapia, la soppressione elettrica tramite stimolazione magnetica transcutanea (quest’ultima da molti anni vive fasi alterne e incerte fortune), l’osteopatia e la terapia chiropratica, laddove vi sia uno scompenso posturale. Parte a sé, vista la rilevanza, è data alla Terapia del Suono in tutte le sue forme e mezzi di somministrazione.
Nel secondo gruppo sono comprese la terapia comportamentale e cognitiva, il counselling, le tecniche di rilassamento e tutti gli approcci tesi a ridurre i sintomi correlati all’acufene (ansia, insonnia, stress, depressione ecc.). Per il controllo della sfera emozionale, spesso presente in associazione alla percezione del sintomo, si ricorre anche a terapie utilizzate in psicologia e psichiatria, come la già citata terapia cognitivo-comportamentale, l’ipnosi, la mindfulness, l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR), insieme alla tecnica di rilassamento muscolare progressivo di Jacobson e alla distensione immaginativa. Poiché le cause dell’acufene differiscono da soggetto a soggetto, così come la percezione, il trattamento deve essere finalizzato a un approccio multiterapeutico e multispecialistico. Attualmente, nei casi di acufene cronico disturbante in assenza di risposta alla terapia farmacologica e/o ad altro tipo di trattamento, il percorso riabilitativo si avvale, prevalentemente, di un percorso di counselling, terapia cognitivo-comportamentale, sound therapy e tecniche di controllo dello stato emozionale.
Counseling e Terapia cognitivo-comportamentale
La ristrutturazione cognitiva è votata al mutamento dei pensieri disfunzionali associati con l’acufene. In questo contesto i pazienti sono incoraggiati ad accettare l’idea che l’acufene non merita tutta l’attenzione offerta.5 La terapia comportamentale si concentra verso un’immaginazione positiva, sul controllo dell’attenzione e su esercizi di rilassamento. L’immaginazione positiva comporta la messa a fuoco dei pensieri del paziente su qualcosa di piacevole, al fine di distogliere l’attenzione dall’acufene. La terapia cognitivo comportamentale (Cognitive-Behaviour Therapy, CBT) è attualmente considerata a livello internazionale uno dei più affidabili ed efficaci modelli per la comprensione ed il trattamento dei disturbi psicopatologici. Tale approccio postula una complessa relazione tra emozioni, pensieri e comportamenti evidenziando come i problemi emotivi siano in gran parte il prodotto di credenze disfunzionali che si mantengono nel tempo, a dispetto della sofferenza che il paziente sperimenta e delle possibilità e opportunità di cambiarle, a causa dei meccanismi di mantenimento. La teoria di fondo, sottolinea l’importanza delle distorsioni cognitive e della rappresentazione soggettiva della realtà nell’origine e nel mantenimento dei disturbi emotivi e comportamentali. Ciò implica che non sarebbero gli eventi a creare e mantenere i problemi psicologici, emotivi e di comportamento, ma questi verrebbero piuttosto largamente influenzati dalle strutture e costruzioni cognitive dell’individuo. Ciò che caratterizza e distingue la psicoterapia cognitiva, infatti, è la spiegazione dei disturbi emotivi attraverso l’analisi della relazione tra pensieri, emozioni e comportamenti6.
SOUND THERAPHY
Il paziente con ipoacusia si indirizza verso la protesizzazione acustica, se possibile con tecnologia “open”. Nei casi di sordità profonda oppure che hanno scarso o nullo beneficio dall’utilizzo degli apparecchi acustici, trova corretta indicazione l’impianto cocleare.
ALLENAMENTO ACUSTICO COME NUOVA STRATEGIA DI TERAPIA DEL SUONO
Queste risultanze dimostrano che l’acufene è direttamente coinvolto nell’alterazione neuroplastica della corteccia uditiva. La similitudine riscontrata tra questi dati e quelli relativi alla riorganizzazione somato-sensoriale che occorre nella percezione del dolore nella sindrome dell’arto fantasma successiva all’amputazione di un arto, suggerisce che l’acufene potrebbe essere considerato un fenomeno uditivo fantasma. Lo studio sostiene l’ipotesi che, se l’acufene è causato o quantomeno è accompagnato da mutamenti topografici della mappa tonotopica corticale, potrebbe essere possibile alleviare i disturbi associati con l’acufene invertendo questi mutamenti. Uno dei modi in cui è possibile riorganizzare la mappa tonotopica è quello dell’allenamento acustico. Nel 1993 in uno studio condotto da Recanzone et al.8 alcune scimmie adulte sono state addestrate a riconoscere piccole differenze di frequenza (Auditory Discrimination Training) in alcuni stimoli tonali somministrati. A seguito dell’addestramento, (costituito dall’ascolto di oltre 500 coppie di stimoli sonori per più di 60 giorni), si è potuto verificare che i primati non solo hanno dimostrato maggiore capacità discriminatoria per le frequenze, ma si è anche riscontrato un aumento dell’area uditiva primaria di rappresentazione delle frequenze utilizzate che è direttamente correlata alla performance dell’animale nel discriminare le frequenze. Queste conseguenze infatti non sono state riscontrate in altre scimmie sottoposte all’ascolto dello stesso materiale acustico, ma non addestrate a discriminare le differenze.
Ulteriori conferme riguardo alla plasticità neuronale dell’area uditiva nascono dalle sordità neurosensoriali, anche di lieve entità, che conducono a un processo di riorganizzazione dei circuiti neuronali con lo scopo di mantenere la tonotopicità corticale, in modo che essa sia una rappresentazione speculare di quella cocleare.9,10
In generale tali modificazioni sono un esempio di quella che oggi è considerata la “plasticità” del SNC. Questo meccanismo si attua mediante la generazione di nuove sinapsi fra cellule nervose vicine moltiplicando così i contatti e gli scambi di informazioni. Una riorganizzazione di questo tipo, avvenuta in maniera anomala, può essere alla base della manifestazione dell’acufene. Secondo tale ipotesi oggi si ritiene che l’acufene, pur innescato da un danno periferico, sia mantenuto dalle modificazioni cerebrali ad esso conseguenti. Partendo proprio da questo presupposto, si è pensato che esercizi di allenamento acustico, personalizzati sul tipo di acufene, possano ridurre l’impatto che ha la riorganizzazione anomala della mappa uditiva centrale e quindi l’acufene stesso: se la frequenza dei segnali sonori inviati è simile ma non sovrapponibile a quella dell’acufene, la corteccia uditiva allenata (Auditory Perceptual Training) entra in competizione con le aree stimolate dall’acufene, sottraendo a questo il substrato sinaptico patologico (Cortical Re-Mapping).11 Questo è il razionale su cui si basa la Neuromodulazione Acustica Condizionata (NAC), una innovativa terapia basata sulle recenti conoscenze di plasticità cerebrale e ascolto condizionato e che ha come obiettivo quello di allenare il cervello nei confronti di segnali acustici esterni con finalità terapeutica.12,13 Gli studi attualmente disponibili che hanno valutato l’efficacia del trattamento della Auditory Perceptual Training nei confronti del tinnito dimostrano che la qualità dei risultati è promettente. Derek J. Hoare et al.14 segnalano la necessità di studi randomizzati, il cui scopo è quello di produrre evidenze di alta qualità, imparziali e generalizzabili, sugli effetti clinicamente rilevanti che la APT può avere sugli acufeni.
Nella nostra esperienza clinica, questa nuova strategia sonora è stata strutturata in un percorso riabilitativo della durata di 160 giorni che prevede:
- esercizi di ascolto attivo a cadenza giornaliera, appositamente predisposti in base alla frequenza dell’acufene, della durata di 15 minuti ciascuno. Questo esercizio di ascolto condizionato con “rinforzo” positivo ha lo scopo di accelerare i tempi che occorrono per effettuare i riarrangiamenti plastici che avvengono all’interno del SNC. L’esercizio di ascolto attivo consiste nel far ascoltare una registrazione audio al paziente, il quale deve riconoscere il numero di incrementi di intensità (+2 dB per la durata di 2 secondi) o di pause (della durata di 2 secondi) posti all’interno dello stimolo sonoro. I numeri di incrementi e di pause variano per ogni singolo esercizio, in modo che il paziente effettui veramente un ascolto “attivo”.
Agli esercizi sonori, che sono la parte fondamentale della terapia, sono stati affiancati:
- melodie sonore a valenza rilassante, anch’esse create in base alla frequenza dell’acufene e con durata variabile. Queste melodie sono per lo più formate da suoni della natura o da suoni frattali (si tratta di stimoli non ripetitivi generati in maniera casuale da uno specifico algoritmo) e la loro funzione è quella di determinare uno stato di rilassamento del paziente in grado di decondizionare dall’acufene;
- counselling giornaliero, strutturato in cenni di anatomia e fisiologia dell’orecchio e semplici frasi con lo scopo di motivare il paziente; quest’ultimo trattamento è proposto solo se il paziente è particolarmente emotivo e il suo acufene ormai interferisce in maniera significativa sul suo stato d’animo.
D. Cuda
Direttore Unità Operativa di Otorinolaringoiatria,
Centro per lo Studio e la Cura degli Acufeni, Ospedale “G. da Saliceto” – Piacenza
A.R. De Caria
Audiologo, Unità Operativa di Otorinolaringoiatria,
Centro per lo Studio e la Cura degli Acufeni, Ospedale “G. da Saliceto” – Piacenza
M. Monici
Otorinolaringoiatra, Struttura Complessa di Otorinolaringoiatria,
Ospedale “C. Poma” – Mantova
V. Mirarchi
Audioprotesista, Libero Professionista, Milano
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